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“ROSSETTO E CAFFÈ È LA MIA RIVINCITA: NEGLI ANNI 90 I DISCOGRAFICI QUANDO MI VEDEVANO DICEVANO: ARRIVA LA COMITIVA VESUVIO" – SAL DA VINCI SI GODE IL SUCCESSO DOPO TANTE PORTE SBATTUTE IN FACCIA (E NUMEROSE TINTE CORVINO AI CAPELLI) – RENATO ZERO CHE NON IMPAZZIVA PER IL TESTO DI “ROSSETTO E CAFFE’” (“HO DECISO DI PUBBLICARLA COMUNQUE. QUANDO L’HO RIVISTO MI HA DETTO: NON CI HO CAPITO UN CAZZO”), L’ESORDIO AL CINEMA A 17 ANNI CON VERDONE IN “TROPPO FORTE” (“ALBERTO SORDI MI CHIEDEVA DI CANTARE PER LUI”), IL DUETTO CON SABRINA FERILLI (“MIA MOGLIE GELOSA? MACCHE’”), E QUELLA VOLTA CHE LUCIO DALLA LO LASCIO’ A PIEDI… - VIDEO
Sandra Cesarale per il “Corriere della Sera” - Estratti
«Un giorno trovo un messaggio su Instagram di Sabrina Ferilli, mi scrive che impazzisce per Rossetto e caffè e vorrebbe cantarla con me. Pensavo fosse un fake, invece alla fine l’abbiamo cantata insieme».
Sua moglie si è ingelosita?
«Macché. Dalle nostre parti si dice: chi si guarda il suo non fa male a nessuno. Paola è intelligente, insieme ne abbiamo passate tante. La mente ti spiega cos’è la vita ma è con il cuore che vale la pena di viverla».
E il suo amico Renato Zero cosa ne pensava?
«Gli feci sentire Rossetto e caffè prima che uscisse, mi disse: “La musica è bellissima, ma il testo non mi fa impazzire. Provo a lavorarci io”. Però era incasinato e il tempo passava. Decisi di pubblicarla comunque. Quando incontrai di nuovo Renato la canzone volava. Mi guardò: “Sal, non ci ho capito un c...”».
Stefano De Martino faceva ascoltare «Rossetto e caffé» in tv, quando apriva i pacchi.
«È un ragazzo semplice e dolcissimo. Conosce tutte le mie canzoni a memoria, io invece ho bisogno del gobbo».
Sal Da Vinci («Solo mamma mi chiama Salvatore») con Rossetto e caffè , al grido di «Sei la mia gelosia/ Sei passione, dolore e follia», ha conquistato l’Italia e oltre. «È un successo partito dal basso, me la sono autoprodotta. L’ho pubblicata più di un anno fa e continua a fare numeri stratosferici, ci avviamo al terzo platino», racconta lui, 56 anni, nato a New York ma cresciuto a Napoli, una gavetta lunghissima, iniziata con papà Mario Da Vinci — icona della sceneggiata napoletana — e culminata il 6 settembre con il live in piazza del Plebiscito davanti a migliaia di persone.
(…)
A 17 anni si trovò sul set con Alberto Sordi.
«Il film era Troppo forte , Carlo Verdone mi fece il provino a Capri. Mi accompagnò papà. Primo ciak con Alberto Sordi, tremavo dall’emozione. Amava Napoli e mi chiedeva di cantargli Reginella , Malafemmena , Dicitencello vuje ».
E Verdone?
«Non ci incontriamo dal 1985. Però ci scriviamo, mi ha fatto i complimenti per Rossetto e caffè : “Chi la dura la vince, che Dio ti benedica. Storie come la tua non ce ne sono o se ce ne sono non le conosciamo, sono poche”.
Lui sa quanto ho sofferto, sono anche stato discriminato».
Quando?
«Negli anni 80, all’inizio dei 90, ho sentito dire da qualche discografico del Nord: “Sta arrivando la comitiva Vesuvio”. Non è più così, ma l’ignoranza è sempre in agguato. Nella mia vita ho vissuto successi e sconfitte, sono caduto tante volte».
La più dolorosa?
«Ho consolato mio padre quando nessuno lo voleva più. Era un uomo buono, un guerriero, ma fa male vedere che le persone cambiano marciapiede se ti incontrano.
E io ero solo un ragazzino».
Quante vite ha vissuto?
«Me ne sono passate addosso almeno quattro: da bambino suonavo la batteria, poi il pianoforte; avevo lasciato il teatro, troppo guittume , Roberto De Simone mi ha convinto a ritornarci. Alla fine, di nuovo la musica. Quante volte ho detto: getto la spugna».
Cosa l’ha convinta a non rinunciare?
«La perseveranza. E la famiglia: “Ma tu si’ pazzo!”, dicevano mia moglie e mio figlio.
Non è facile resistere quando prendi i pugni in faccia. Ma sono contento di tutto quello che mi è successo. Fa parte di un cammino che mi ha portato fin qui».
Adesso tutti la vogliono.
«Con il successo le persone ti cercano. Se si brucia qualche lampadina per strada c’è il deserto, rimangono la famiglia e chi ti ama davvero. Sa che faccio appena sveglio?».
No.
«Prego:“Padre mio, grazie”.
Fine delle trasmissioni. Dopo c’è il pubblico. Non devo essere grato a nessun altro, perché ho conquistato tutto da solo».
Un sogno diventato realtà?
«Ho incontrato Lucio Dalla, merito di Gigi D’Alessio che per una canzone coinvolse il maestro, Gigi Finizio e me».
Non è finita lì.
«Lucio amava la mia terra. Ci siamo incontrati in tv, a dei concerti… fino a quando un giorno mi ritrovai a ritirare un premio per Scugnizzi a Riva del Garda con Claudio Mattone. Lui era lì per la sua Tosca . A un certo punto mi sentii chiamare: “Ehi, Ehi, girati”. Lo vidi: “Maestro, come stai?”.
“Che fai sabato?”. “Ho un concerto”. “Ok allora ci vediamo a Capri perché io dedico una serata agli ormeggiatori”. “Maestro non ce la faccio”. “Perfetto, ti mando una barca alle 11”.
Arrivò qualcuno?
«No, dimenticò di mandare la barca. Dal molo di Mergellina chiamai un amico che mi portò a Capri. Arrivai a ridosso del palco, luci fioche, non c’era nessuno, scesi e caddi in acqua. Su delle tavole di legno c’era il suo pianoforte elettrico e un palloncino rosa. Sopra un filo elettrico erano montate le lampadine che le pescherie mettono su a Natale. Bellissimo, ’na poesia».
Ha mai fatto una pazzia?
«Mica una».
Tante?
«In tour con mio padre in Australia. Due mesi lontano da Paola, allora la mia fidanzata. Mi alzavo alle quattro del mattino per chiamarla. Spesi sei milioni di lire in bollette del telefono».
Un’altra?
«Una Bmw station wagon, blu elettrico, appena la vidi mi lacrimavano gli occhi. Il direttore della concessionaria era un amico, mi inventai di tutto per comprarla».
nunzia de girolamo sal da vinci
Se l’è goduta?
«Poco: l’ho venduta, dovevo dare da mangiare a mia moglie e mio figlio.
Non mi ero reso conto che stavo facendo qualcosa più grande di me. Le auto erano la mia malattia, da bambino guardavo i piedi di papà che premevano su freno e acceleratore. Alla prima guida per la patente ero pronto».
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