mauro corona

“VADO IN TV PER VANITÀ MA E’ ORA DI SMETTERE” – LO SCRITTORE MAURO CORONA HA CAPITO CHE CI DEVE DARE UN TAGLIO, ANCHE COL FIASCO: “IL VINO MI HA DISTRUTTO. DA BAMBINI CI FACEVANO BERE PERCHÉ DIVENTASSIMO UOMINI. IO HO BEVUTO PER TIMIDEZZA, PER RIUSCIRE A CANTARE E PER NON AVERE PAURA DELLE RAGAZZE. DA TRE MESI, PERÒ, NON TOCCO IL BICCHIERE, VOGLIO RIAVERE LA PATENTE CHE MI HANNO TOLTO, HO BISOGNO DELL’AUTOMOBILE, NON POSSO SEMPRE DIPENDERE DAGLI ALTRI" – DOC+ LIBRO – VIDEO

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Maurizio Crosetti per repubblica.it - Estratti

 

 

mauro corona

Un Mauro Corona molto diverso dal personaggio, anche televisivo, al quale siamo abituati: è il ritratto che appare nel documentario La mia vita finché capita, di Niccolò Maria Pagani, presentato al Trento Film Festival. Qui lo scrittore fa i conti col passato, con il dolore di figlio e le domande di padre. Non più provocatore ma fragile, tra ricordi e paure, nella sua tana in paese o nei boschi. L’identico sguardo dell’ultimo libro, Le altalene (Mondadori).

 

«Perché io non sono quello che ho recitato. Volevo che i miei figli potessero finalmente conoscere il loro papà, dal vero. Sono pieno di dubbi, sono timido e non voglio rischiare di morire frainteso. Ho quasi 75 anni, non c’è più tempo da perdere e non c’è quasi più tempo per chiedere scusa».

 

Il confronto col passato è impietoso.

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«La memoria è dolore. A volte ripenso al giorno in cui mia madre saltò su un camioncino rosso per andarsene via, e fuggire dalle violenze di mio padre. Se esistesse una sostanza per cancellare i ricordi, me la farei iniettare. Avrei desiderio di dormire come un gatto».

 

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Qual è il suo rapporto con la vecchiaia?

«Comincio a vedere la curva della strada. Prima di cominciare le riprese, avevo paura che la gente dicesse: “Ma questo chi si crede di essere? Ancora Mauro Corona?” Poi ho capito che avevo necessità di pacificarmi con me stesso».

 

Non teme che le apparizioni in tv le facciano un danno?

«Avevo deciso di andare in televisione un po’ per vanità, anche se fortunatamente sta scemando, e un po’ per dar voce a chi non ne aveva. Le faccio un esempio: dopo che ne ho tanto parlato in tv, hanno riaperto l’ospedale di Misurina dove si curano i bambini con la mucoviscidosi, malattia polmonare gravissima. Però è vero, forse è venuta l’ora di smettere. Il dolore per le malattie delle persone che amo mi ha tolto ogni vanità, mi ha scorticato».

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Forse, nel suo caso, in tv basterebbe limitarsi a parlare di boschi, alberi e libri, non crede?

«Ma è proprio quello che immaginavo si volesse da me, però la televisione non funziona così».

 

Ci dica del suo paese, Erto. Nel documentario appare come un luogo di pietra.

«Stava crollando tutto, e molti di noi pensavano che nessuno da fuori dovesse intervenire. Invece è successo: c’è chi ha acquistato qualche rudere per riportarlo in vita. Così ho visto riaccendersi il fuoco nei camini, e la cosa mi ha fatto piacere».

 

 

 

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Nel film c’è un momento molto emozionante, quando lei ricorda Mario Rigoni Stern.

«Mario era quasi in punto di morte, e la moglie Anna provò a consolarlo parlandogli del suo ultimo libro appena stampato. Mario la guardò e disse: “Xe tuto gnente”, è tutto niente. Pessoa ha scritto che la ricchezza è un metallo, la gloria un’eco e l’amore un’ombra. Quando lasciamo questo mondo, il niente è ciò che portiamo con noi. Ma non è niente quello che invece è stato. Il percorso compiuto, quello vale».

 

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Corona, come va col vino?

«Mi ha distrutto. Da bambini ci facevano bere perché diventassimo uomini, ci davano il Raboso, il vino dei poveri. Io ho bevuto per timidezza, per riuscire a cantare e per non avere paura delle ragazze. Da tre mesi, però, non tocco il bicchiere, voglio riavere la patente che mi hanno tolto, ho bisogno dell’automobile per andare in paese, dal ferramenta o in banca, non posso sempre dipendere dagli altri».

 

Lei scala ancora?

 

«Quasi ogni giorno, e anche meglio di quand’ero giovane. Ho imparato che gli ostacoli non si saltano ma si aggirano».

 

Cosa significa fare i conti con sé stessi?

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«La vita è breve come un sogno e non bisogna sprecarla. Dobbiamo chiederci: cosa amiamo veramente fare? Un uomo libero dev’essere anche un po’ egoista, in senso buono».

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