DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
Stefano Folli per “Robinson - la Repubblica”
Servono ancora gli intellettuali nel dibattito pubblico? Hanno ancora senso i "sapienti" nell'epoca in cui il populismo si coniuga con l'ignoranza di massa? In un centinaio di pagine che lasciano il segno, Sabino Cassese affronta un tema reso attuale dal declino dei partiti "liquefatti", dall'affermarsi del cortocircuito logico per cui "uno vale uno".
Che non è solo lo slogan coniato da Casaleggio padre con Grillo per lanciare il movimento Cinque Stelle: è la cifra della nostra epoca. Magari lo si rifiuta sul piano razionale, ma poi lo si accetta attraverso il pulviscolo di Internet e il bombardamento quotidiano di una certa informazione televisiva. In questa cornice l'intellettuale si ritrova spaesato, il suo ruolo che fu essenziale per dar vita alla società occidentale e per affermare i valori della democrazia liberale, improvvisamente diventa marginale.
Dovrebbe rinchiudersi nelle scuole e nelle università, ma è proprio quello che non ci si attende da lui: che rinunci alla presenza pubblica, dove dovrebbe o potrebbe esercitare una funzione non legata a un segmento del sapere. L'intellettuale civile è un umanista, individua nessi e lega fili anche remoti, ha una conoscenza larga delle cose.
Cassese cita Tocqueville e i suoi studi sulla Francia del vecchio regime per capire la rivoluzione e poi per connettersi alla società americana. Ma ricorda anche la frase di von Hayek per cui «nessuno può essere un grande economista se è solo un economista». Max Weber la pensava allo stesso modo.
E allora si torna al quesito iniziale: come possono gli intellettuali recuperare l'influenza perduta? È evidente che Cassese non condivide lo scetticismo di Julien Benda, che accusava di tradimento quei "chierici" che avessero sposato l'impegno civile. Quello che serve oggi è il contrario dell'eremitaggio. Non aiuta riproporre la figura dell'intellettuale impegnato "che si butta in politica".
Invece, conclude Cassese, si tratta di «non abbandonare il proprio mestiere di studiosi, ma allargarlo, farvi partecipare un pubblico più vasto, se si ha qualcosa da dire che interessi tale pubblico. Ciò richiede capacità di reinventarsi senza tradire il proprio mestiere».
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