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Gianmaria Tammaro per Dagospia
L’ultima puntata di “Gomorra”, serie originale di Sky prodotta da Cattleya e da Fandango, ora disponibile su Sky On Demand e NowTv, ha rimesso in campo, una volta per tutte, Genny Savastano (Salvatore Esposito), ha fatto fuori – letteralmente – Patrizia (Cristiana Dell’Anna), e ha tracciato in modo chiaro quello che sarà il futuro. E cioè: ci si continuerà ad ammazzare, la lotta per il potere sarà sempre più agguerrita, c’è un nuovo, potente alleato (e, visto come vanno le cose a “Gomorra”, anche prossimo rivale) e il centro della storia, poco ma sicuro, sarà Genny.
Perché la verità, eccola, è che nessuno cambia a “Gomorra”. Non ci sono redenti, martiri o – come insiste a dire una certa politica piagnona e ammorbante – eroi. A “Gomorra”, nella Napoli disegnata dalla produzione Sky, si muore. Ci si uccide a vicenda. Non ci si può fidare di nessuno. È la prima cosa che Genny ha detto a Patrizia, lasciandole il trono di Secondigliano.
Ed è l’ultima cosa che lei, in lacrime, ha imparato a caro, carissimo prezzo. In queste quattro stagioni, “Gomorra” è cambiata. Ha esplorato nuovi spazi e nuovi generi. È passata dall’essere un crime puro, con la regia-comando di Stefano Sollima, a trasformarsi in qualcosa di diverso e, contemporaneamente, di più. Merito di Francesca Comencini, che ha preso le redini della direzione artistica. Ma soprattutto della scrittura e di chi, dietro le quinte, ha continuato a immaginare storie.
“Gomorra” resta la miglior serie italiana. Proprio alla fine dell’ultima stagione, è tornata ad essere vorace, violenta, esplosiva. Riabbracciando i vecchi fan, e stordendo quelli nuovi. Arrivati a questo punto, è vero, diventa sempre più difficile superarsi e migliorarsi, fare qualcosa di diverso; qualcosa che non sia, ecco, tipicamente “gomorriano”. E Sky lo sa. Si è affidata ai suoi attori, Esposito in primis, Dell’Anna straordinaria e bravissima, e ha messo in scena un racconto potente, commercialmente esportabile, che mostra il male, la corruzione, la fallibilità umana.
Ma questa stagione è stata importante anche per altre due ragioni. La prima: l’esordio di Marco D’Amore alla regia. I suoi episodi sono stati tra i più belli ed intensi. Intimi, per quanto possano esserlo dinamiche così basse e viscerali come quelle criminali. La seconda: Loris De Luna, Arturo Muselli e Ivana Lotito, rispettivamente Valerio (morto anche lui), Sangue Blu e Azzurra, sono cresciuti. Si sono presi e ritagliati il loro spazio. Sono diventati, di diritto, protagonisti. Hanno trovato la loro dimensione e il loro peso.
Che non è poco, specie quando ci ritrova a competere con personaggi come Genny o Patrizia. “Gomorra”, però, non finisce con la televisione. Visto il successo della serie, e anche dei tanti esperimenti che sono stati tentati negli anni di portarla prima al cinema e poi, solo poi, sul piccolo schermo, Cattleya insieme a Vision Distribution ha deciso di dare il via a uno spin-off, a un progetto corollario: “L’Immortale”, film diretto e interpretato da Marco D’Amore su Ciro Di Marzio.
Molto probabilmente si tratterà di un prequel, un film cioè sulle origini del mito e, soprattutto, del male. Si girerà tra Roma e Napoli e, pare, uscirà intorno a dicembre di quest’anno. A parte tutte le considerazioni che si possono fare e che, pure, vanno fatte su un paese che sembra investire unicamente su pochi generi e poche visioni (ma è davvero così, poi?), bisogna riconoscere quanto, per l’industria, stia facendo “Gomorra”. Quanto lavoro, quante possibilità, quanta – soprattutto – visibilità stia portando al paese.
È la chiave di volta di una rivoluzione. La porta d’ingresso di una casa più grande, più spaziosa, più ricca.
Sky l’ha capito: ha usato “Gomorra” come trampolino di lancio per specializzarsi e allargarsi, per continuare a investire e a sperimentare. Senza “Gomorra”, non ci sarebbe stato “The Young Pope”. O “I Diavoli”. O, anche, “ZeroZeroZero”. Ora, forse, si farà la stessa cosa al cinema: ritornerà il crime di genere, il drama, e forse l’industria tornerà a spendere e capirà che non è tutta commedia quella che luccica. Finalmente, viene da dire.
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