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Roberto Coaloa per “Libero Quotidiano”
Lev Tolstoj, a 75 anni, scrisse un ampio saggio critico su Shakespeare (1564-1616): una vera stroncatura.
Shakespeare e il dramma è anche un pamphlet che tratta dell' arte e della sua rappresentatività nella società moderna, dove una minoranza controlla i gusti di una maggioranza, sfruttando le mode della decadente società contemporanea. Per Tolstoj la fama di Shakespeare è immeritata. Il che significa riconoscere che la gloria si forma per accumulazione di giudizi.
Tolstoj conosce e cita a memoria il Bardo e ha compulsato le opere su di lui, da Victor Hugo a Ernest Howard Crosby (scrittore e socialista americano). Il saggio di Tolstoj, infatti, nasce come prefazione a Shakespeare' s attitude toward the Working Classes di Crosby.
Iniziato nel settembre 1903, assorbe a lungo le energie dello scrittore russo. Nell' estate 1905 Tolstoj scrive all' amico americano che la prefazione «ha preso infine le dimensioni di un libro». Shakespeare e il dramma è pubblicato nel novembre 1906 sulla rivista La parola russa.
tolstoj perse quasi tutto a carte
Esce subito nelle versioni inglese e francese (che però presentano non poche inesattezze e discordanze dal testo russo, oltre a essere monche di interi brani); poi ancora in russo nelle Opere complete. Chi scrive ne ha curato la traduzione dal russo in italiano per le nuove edizioni della Libreria Utopia di Lucio Morawetz, in uscita a breve, con un' ampia introduzione e bibliografia sul tema, che appassionò, tra gli altri, G. B. Shaw e George Orwell.
2. SHAKESPEARE FA SCHIFO
Testo di Lev Tolstoj pubblicato da “Libero Quotidiano”
L' articolo del signor Crosby sull' atteggiamento di Shakespeare verso la classe operaia mi porta a esprimere la mia opinione, di vecchia data, in merito alle opere di Shakespeare; del tutto opposta a quella che si è andata affermando in tutto il mondo.
Ricordo lo stupore, che provai alla prima lettura di Shakespeare. Mi aspettavo di provare un forte gradimento estetico, ma leggendo una dopo l' altra le sue opere annoverate tra le migliori: Re Lear, Romeo e Giulietta, Amleto e Macbeth, io non solo non provavo soddisfazione, ma al contrario sentivo irresistibile ostilità, tedio e imbarazzo.
Mi chiedevo se io fossi pazzo a trovare insignificanti e anzi nettamente cattive le opere che sono ritenute il colmo della perfezione in tutto il mondo intellettuale, o se fosse errata la stima attribuita da questo mondo alle opere di Shakespeare.
[...] Tutti i personaggi di Shakespeare non parlano una loro individuale lingua, ma sempre lo stesso lessico shakespeariano, cioè un linguaggio lambiccato e innaturale, che non solamente non avrebbero potuto usare i personaggi raffigurati, ma per nulla al mondo e in nessun luogo una persona reale avrebbe potuto usare.
[...] Ma non basta che tutti i personaggi parlino nel modo in cui non hai parlato e non può parlare nessun individuo sulla terra, tutti soffrono di una generale incontinenza e logorrea. Amanti, combattenti e agonizzanti parlano con esagerata abbondanza, inaspettatamente e senza alcun nesso con l' oggetto dell' azione, lasciandosi guidare più dal gusto di consonanze verbali e di calembours che non dal senso.
I personaggi parlano tutti nello stesso modo. Lear delira, fingendo, alla maniera di Edgardo. Similmente si esprimono Kent e il buffone. Le battute di qualunque personaggio potrebbero applicarsi alla bocca di un altro, e per il carattere del discorso non è possibile riconoscere chi è colui che parla.
[...] In Amleto, Shakespeare prende una storia antica, che nel suo genere non è malaccio, oppure un dramma, elaborato su questo tema una quindicina di anni prima, e scrive su questo soggetto il suo dramma, mettendo assai a sproposito (come del resto egli fa sempre) sulle labbra del protagonista tutti quei pensieri che gli sembravano degni d' attenzione.
Così egli mette sulle labbra del suo eroe certi suoi pensieri: sulla vita (discorsi del becchino), sulla morte (to be or not to be), gli stessi che sono da lui espressi nel Sonetto 66 (sul teatro e sulle donne). Egli non si preoccupa minimamente delle circostanze in cui sono pronunciati questi discorsi e in cui naturalmente si produce il fatto; sicché il personaggio che esprime tutti questi pensieri diventa un fonografo di Shakespeare: perde ogni carattere proprio e le sue azioni non concordano più con quel che dice.
[..] Amleto per tutta la durata del dramma agisce non secondo ciò che egli potrebbe realmente volere, ma secondo le esigenze dell' autore: o inorridisce innanzi all' ombra del padre oppure comincia a burlarsi di essa, chiamandola talpa, in certe circostanze ama Ofelia oppure la stuzzica, eccetera.
Non v' è alcuna possibilità di trovare una qualsiasi giustificazione alle azioni e ai discorsi di Amleto e perciò non esiste alcuna possibilità d' attribuire a lui un carattere qualsiasi, ma esistendo il preconcetto che il genio di Shakespeare non può scrivere nulla di cattivo, gli intellettuali indirizzano tutte le forze della loro intelligenza a scoprire bellezze straordinarie, anche nell' evidente difetto che colpisce l' occhio e che si palesa particolarmente nell'Amleto, consistente nel fatto che il protagonista è privo di qualsiasi carattere.
Ed ecco i critici profondi dichiarare che in questo dramma nel personaggio di Amleto è espresso in modo straordinariamente forte un carattere completamente nuovo e profondo, consistente nel fatto che questo personaggio è privo di carattere e che in quest' assenza di carattere consiste appunto la genialità della creazione di un tal carattere profondo.
Sicché premesso questo, i sapientoni scrivono volumi su volumi, con il risultato che l' esaltazione esegetica della grandezza e dell' importanza assunte dalla rappresentazione di un tal carattere d' uomo privo di carattere, formano delle enormi biblioteche.
[...] È indubbio che Shakespeare non era un artista e le sue opere non sono opere d' arte. Senza il senso della misura non è mai esistito né mai potrà esistere un artista, allo stesso modo che senza il senso del ritmo non può esistere un musicista. E Shakespeare avrebbe potuto essere tutto quel che volete, ma non un artista.
(trad. di Roberto Coaloa)
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