CHI SI NASCONDE DIETRO ELENA FERRANTE, CASO LETTERARIO NEGLI USA? TUTTI GLI INDIZI PORTANO A DOMENICO STARNONE: IL SUO ULTIMO ROMANZO SEMBRA IL SEQUEL DE “I GIORNI DELL’ABBANDONO” - LO SCRITTORE: “NON HO NULLA DA RIVELARE. TRA ME E LEI C’È UN ABISSO”

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Simonetta Fiori per “la Repubblica

 

Domenico 
Starnone 
Domenico Starnone

Caro Starnone, delle due l’una: o vuole gettare la maschera, rivelando che c’è lei dietro la figura fantasmatica di Elena Ferrante, o più semplicemente le piace civettare con questo mistero letterario. Tertium – direbbe uno dei suoi personaggi ex cathedra – non datur . «Nooo, è una persecuzione. Mettiamo che fossi davvero la Ferrante...».

 

Sì mettiamo, perché le tracce ci portano da quella parte. Ieri mattina a casa dello scrittore dopo aver letto Lacci, il nuovo bel romanzo in uscita da Einaudi. Un racconto molto ben congegnato, che colpisce fin dalla prima riga. «Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie». E qui il primo sussulto: Starnone scrive in prima persona, al femminile.

 

Non era mai successo. Ma via, sarà solo un caso. Perché inchiodare un bravo scrittore pluripremiato al mito ingombrante della Ferrante? Non saremo contagiati dal pettegolezzo letterario che attribuisce al narratore napoletano – e alla moglie traduttrice Anita Raja – la genitorialità della scrittrice? E non è lo stesso Starnone a farsi beffa dei giornalisti culturali sulle tracce del suo supposto travestitismo nel penultimo romanzo Autobiografia erotica di Aristide Gambía ?

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libro
lacciDomenico Starnone libro lacci

 

Non fermiamoci al primo sciocco indizio e proseguiamo nella lettura, incoraggiati da una scrittura colta e dalla capacità dell’autore di lumeggiare l’inferno famigliare nascosto negli spazi quieti della routine. Ma all’ultima pagina resta una convinzione: quello di Starnone può essere letto come un meraviglioso sequel dei Giorni dell’abbandono . Perché le coincidenze tra Vanda, la moglie spezzata di Lacci, e il personaggio tratteggiato dalla Ferrante sono inequivocabili.

 

Sono storie quasi a ricalco – due donne abbandonate allo stesso modo, da due mariti molto simili, persi entrambi dentro “un vuoto di senso” ovvero un’incantevole fanciulla altoborghese –, con una differenza di fondo che è il colpo di genio di Starnone. Se la vicenda narrata dalla Ferrante si chiude con la nuova vita di Olga insieme all’orchestrale della porta accanto, Starnone si diverte ad andare avanti. E ci apre un altro scenario, riferito questa volta dal protagonista maschile.

 

Domenico 
Starnone 
Domenico Starnone

Però sono passati quarant’anni dall’abbandono, e lui nel frattempo è tornato a casa. Ora Vanda e Aldo sono una coppia come tante, settantaseienne “fintamente energica” lei, settantaquattrenne “fintamente svagato” lui. Apparentemente una vita serena, in realtà due vite rattrappite dalla paura e dalla perdita: la riconciliazione è molto più devastante dell’abbandono. Il dolore era sempre lì, annota lo scrittore, non finiva mai.

 

E allora Starnone, a che gioco giochiamo?

«Ma guardi che di donne abbandonate non ha scritto solo la signora Ferrante. Perché non parliamo del nesso tra Starnone e il Tolstoj di Anna Karenina ? ».

 

Non divaghi. Le coincidenze sono tante. I personaggi femminili hanno la stessa età e vissuti molto simili. E reagiscono in maniera identica, tra aggressività e cedimenti.

«Ma siamo all’interno di un luogo comune dell’esperienza. In fondo la storia del tradimento occupa soltanto le prime quindici pagine. Il vero nocciolo del racconto è il ritorno a casa. Il cosiddetto perdono. Il momento in cui la coppia si riforma e produce orrore».

 

Sì, il pregio del suo romanzo è là. E si può leggere come un sequel della Ferrante: scritto dalla parte dell’uomo.

«Ma certo, lei avrà fatto il suo racconto al femminile, io al maschile. Dov’è il problema?».

Domenico 
Starnone 
Domenico Starnone

 

Nessun problema. Ma ammetta che è piuttosto curioso: da tempo è perseguitato dal fantasma della Ferrante e lei che fa? Comincia il suo nuovo libro con una storia a ricalco dei Giorni dell’abbandono. Colpisce anche il particolare della bottiglia: quando i fedifraghi confessano lo sperdimento per l’altra donna, entrambe le mogli spaccano una caraffa d’acqua...

«Allora la mia posizione radicale sul matrimonio è il seguito della Sonata a Kreutzer... davvero io alla Ferrante non ho proprio pensato. Quando uno scrive, scrive quello che vuole. Tra me e lei non c’è nessun punto di contatto. Io ho un rapporto ironico con la scrittura, non la considero un sacerdozio. E invece questa signora sembra una sacerdotessa delle lettere. Il mio è un racconto frammentato, non a flusso continuo, come fa lei».

 

Ne parla con insofferenza.

«Sì, ma non voglio parlarne male. Mi sembra un’ottima artigiana del racconto. Ma non sento affinità, al di là della comune napoletanità».

 

Ma, anche se lo stile è diverso, come può ignorare le coincidenze tra i due personaggi femminili? Hanno entrambe due figli e identiche paure. Sobbalzano agli stessi rumori notturni. E ripensando alla loro storia coniugale, si producono nella medesima riflessione: il loro amore è stato frutto del caso.

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Starnone 
Domenico Starnone

«Lei è la prima persona che mi pone il problema. E ora comincio a pensare che saranno guai. Il mio romanzo sarà letto solo in questa ottica e finirà nella spazzatura. Si metta nei miei panni. Ho un progetto in mente. E siccome tutto il mondo ritiene che io sia la Ferrante, devo gettare via il mio progetto?».

 

No. Ma avrei evitato di partire da una storia così simile. Oppure mi tengo le domande moleste dei giornalisti.

«Io per mia natura faccio quello che mi pare. Da sempre. Una dozzina di anni fa pensai di mettere insieme una ventina di racconti in cui raccontare non solo come eravamo ma come siamo diventati. Ora in Lacci ho voluto restituire cos’è stata per la mia generazione l’esperienza della famiglia. Chi si è sposato agli inizi degli anni Sessanta concepiva il matrimonio per sempre. Il dramma di Vanda è scoprire che nulla è per sempre».

 

Lei racconta la dissoluzione della famiglia ma anche la sua forza.

«Sì, una forza cattiva che ti costringe a vivere dentro una struttura malata. Resto dell’idea che, se si rompe una cosa, non bisogna incollare i cocci. Il perdono può arrivare, ma resta pura superficie: sotto coverà sempre una ferita purulenta. Per raccontare questa storia ero obbligato a partire dalla sofferenza della moglie».

 

Sia o non sia la Ferrante, mi sembra che le piaccia sfidarla.

«Me la porterò con me fino alla morte. L’ho scritto anche nell’ultimo capitolo dell’ Autobiografia erotica di Aristide Gambía : NON SO-NO LA FERRANTE».

 

Però il libro successivo lo fa cominciare con una trama ferrantiana, nel momento in cui la scrittrice ha un grande successo in America.

«Scusi, mettiamo che la Ferrante sia io, o sia mia moglie...».

 

O entrambi...

«No, insieme lo escludo».

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Starnone 
Domenico Starnone

 

Esiste un diverso ordine di esclusione: più certa e meno certa?

«No, il lavoro insieme a mia moglie lo escludo a priori. Ma mi spieghi una cosa: visto che è così raro avere respiro internazionale in questa pozzanghera che è l’Italia, perché non godersela? Cosa ci indurrebbe a restare nell’ombra?».

 

Nel successo della Ferrante influisce anche il mistero.

«Mi trovi in giro un qualsiasi scrittore o scrittorucolo che di fronte a questo colpo di fortuna mantiene il silenzio. Viene dato per scontato un comportamento che è di per sé anomalo».

 

Ma lei non è uno scrittorucolo.

«Ma io non ho niente da rivelare. E mi dispiace non avere niente da rivelare ».

 

Perché le dispiace?

«Perché in fondo rinuncio alla sua fama. Detto questo, posso confessarle un segreto? Tra me e la Ferrante c’è un abisso».