FLASH! - IL LUNGO PONTE DEI SOSPIRI DI MATTEO SALVINI: SI SAPRA' DOMANI SE LA CORTE DEI CONTI…
Da http://www.dazeddigital.com
Jo Spence è ricordata come uno dei personaggi più coraggiosi nel mondo della fotografia inglese. Femminista e socialista, utilizza il potere della macchina fotografica per sfidare la società su questioni di genere, classe, identità, morte e, forse la più importante, la sua storia.
Una storia epica, tragica, raccontata nell’autobiografia del 1986 “Putting Myself in the Picture”. Le immagini intime, oneste, lasciano trapelare il disagio. Spesso grottesche per reclamare un corpo in viaggio attraverso la malattia. Ammalatasi di cancro, ha evitato mastectomie, radioterapie e chemioterapie, paragonandole a guerre nucleari per il corpo ("Alla fine ho cominciato a vedere il corpo come un campo di battaglia”). Si è rivolta alla medicina tradizionale cinese (TCM) per affrontare la malattia da un punto di vista fisico e alla fototerapia per quello emotivo.
La fotografia ha accompagnato tutto il corso del cancro, come strumento terapeutico e come presa di controllo sulla propria narrazione.
Morì nel 1992, un decennio dopo la diagnosi. Anche se non raggiunse il successo in vita e doveva lavorare part-time come segretaria per pagarsi le bollette, oggi il suo lavoro è acclamato e rispettato.
La nuova mostra “Jo Spence: A Survey”, curata da Karsten Schubert alla Richard Saltoun di Londra, sarà caratterizzata dalle opere di questi anni cruciali, compreso The Final Project, tragicamente incompiuto a causa della sua scomparsa.
Secondo Niamh Coghlan, il direttore della galleria: “L’artista non si vergognava di mostrare il suo corpo nella sua forma più vulnerabile, nudo e segnato da un intervento chirurgico. In più ha rivoluzionato l’autoritratto e la terapia-fotografia”.
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