1. SI SCRIVE “PRIVACY”, SI LEGGE “PROVACI”! PRIMA DI FOTOGRAFARTI SENZA MUTANDE DAVANTI ALLO SPECCHIO DEL BAGNO, PENSA SEMPRE CHE UN GIORNO POTRESTI USCIRE DI CASA E TROVARTI UNA GIGANTOGRAFIA APPESA SUL MURO DEL PALAZZO DI FRONTE AL TUO, CON TANTI SALUTI DA PARTE DELL’ULTIMA PERSONA CHE HAI FATTO ARRABBIARE 2. L’FBI ORA STA INDAGANDO CON LA SUA TASK FORCE SPECIALIZZATA NEI CYBER-REATI. MA NESSUNO SI SOGNA DI CHIAMARE IN CAUSA APPLE, NONOSTANTE CHE SIA PROPRIO IL SUO SISTEMA ICLOUD AD AVERE FATTO CILECCA, CEDENDO DI FRONTE ALL’ATTACCO DEL PIRATA 3. FURTO A SCOPO DI LUCRO: L’HACKER HA SCRITTO DI ACCETTARE PAGAMENTI VIA PAYPAL, PER ESEMPIO DA CHI VOGLIA ACQUISTARE UN VIDEO EROTICO DI JENNIFER LAWRENCE 4. ORA NON C’È DAVVERO PIÙ UN POSTO DOVE NASCONDERSI. SI È INTRAPPOLATI NELLA RETE, TRA SPIONAGGIO DEGLI STATI SUI CITTADINI, ALGORITMI DI GOOGLE-FACEBOOK-TWITTER A CUI BASTA ACCEDERE AI DATI CHE NOI FORNIAMO SPONTANEAMENTE. TORNIAMO ALLE POLAROID!

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1. VIP - LA CARICA DELLE 101 PER RIPRENDERSI I SELFIE OSÉ RUBATI

Federico Rampini per “La Repubblica

 

icloud kaley cuoco nude leakedicloud kaley cuoco nude leaked

C’è Jennifer Lawrence, premio Oscar e star di “Hunger Games”, e poi Rihanna, le top model Kate Upton e Kelly Brook, la celebrità televisiva Kim Kardashian. 101 star in tutto, tutte donne, hanno subito il furto digitale di foto nude. Vere o (forse, in certi casi) false, comunque imbarazzanti.

 

L’ultimo exploit degli hacker non ha preso di mira né i segreti di Stato della National Security Agency, né i conti bancari di JP Morgan Chase. Stavolta è la privacy delle celebrity al femminile, quella che è stata saccheggiata. Il cyber-furto in grande stile è stato perpetrato in quel magazzino virtuale d’immagini che è il sistema iCloud di Apple.

icloud jennifer lawrence icloud jennifer lawrence

 

L’episodio, anche se in apparenza interessa soprattutto i voyeur e i patiti di gossip, solleva questioni di sicurezza e privacy importanti per tutti. Stavolta le vittime sono delle dive abituate ad essere spiate e insidiate nella loro vita privata: i paparazzi della Dolce Vita imperversavano mezzo secolo prima di Internet. Ma non è una ragione per minimizzare il pericolo.

 

Di certo non l’ha presa alla leggera Jennifer Lawrence, la prima a reagire: ha battuto tutte le altre in velocità, il suo avvocato ha presentato il primo esposto all’Fbi che ora sta indagando con la sua task force specializzata nei cyber-reati. Altre star hanno seguito il suo esempio, mentre alcune hanno preferito negare la veridicità delle immagini osé.

icloud jennifer lawrence  icloud jennifer lawrence

 

Nel caso della Lawrence nessun dubbio, lo stesso legale dell’attrice ha confermato che le 60 foto rubate sono autentiche. Ha anche minacciato di querela qualsiasi organo di stampa che le pubblichi. Twitter, sia pure in ritardo, ha iniziato a chiudere gli account dove circolavano le foto, via via che gli avvocati li segnalano.

 

Dietro il furto ci sarebbe il banale scopo di lucro: lo hacker autore della rapina d’immagini le ha messe sulla piattaforma di sharing 4chan e ha scritto di accettare pagamenti via Paypal, per esempio da chi voglia acquistare un video erotico, girato in privato, di Jennifer Lawrence.

icloud jennifer lawrence   icloud jennifer lawrence

 

Tra le prime reazioni c’è anche la critica sul versante femminista. L’opinionista Emma Barnett sul sito del Daily Telegraph se la prende con il «business della vergogna al femminile », stigmatizzando una società dove «ancora si colpevolizzano le donne se vivono una sessualità libera». Ma altri aspetti inquietanti della vicenda non conoscono distinzioni di sesso.

 

Anzitutto l’episodio conferma la vulnerabilità di tutti i sistemi “cloud”, proprio nell’èra in cui si diffonde in modo universale il loro uso. Il “cloud”, ovvero la nuvola, è un sistema di custodia e archiviazione di dati e informazioni di ogni sorta (incluse immagini) che noi affidiamo in appalto a un soggetto esterno.

ICLOUD KATE UPTON ICLOUD KATE UPTON

 

Nella nuova evoluzione della Rete, stiamo abbandonando in massa quei vecchi strumenti di memorizzazione che erano affidati a dischetti, chiavette, o memoria interna del nostro computer personale. Siamo stati convinti, per comodità d’uso e potenza, ad archiviare tutto nelle memorie degli stessi giganti digitali ai quali affidiamo il servizio email (Google, Microsoft, Yahoo, Aol), oppure ai social network come Facebook, o infine al negozio universale di Amazon. Le loro “nuvole” hanno memorie illimitate, e ci promettono di conservare le nostre informazioni utili in eterno. Salvo scoprire che sono colabrodi, come in questo caso.

 

ICLOUD KATE UPTON ICLOUD KATE UPTON

E chi paga? Il paradosso di questa vicenda lo rivela proprio la diffida che gli avvocati di Jennifer Lawrence hanno lanciato contro blog e giornali. È più facile prendersela con loro, visto che esistono leggi sulla stampa, sanzioni contro la diffamazione. Nessuno si sogna di chiamare in causa Apple, nonostante che sia proprio il suo sistema iCloud ad avere fatto cilecca, cedendo di fronte all’attacco del pirata.

 

La ragione è semplice: i giganti della Rete sono legalmente inattaccabili, perché chiunque accetta di usare i loro software “sottoscrive”, spesso a propria insaputa, dei contratti capestro in cui esonera da ogni responsabilità Apple (o Google, Facebook, ecc.). In confronto perfino le banche sono tenute ad un rispetto superiore dei diritti dei consumatori.

 

Quando gli hacker sono riusciti a violare i dati di milioni di carte di credito, i titolari delle carte non hanno subìto furti sui loro conti perché è scattata l’assicurazione che il cliente acquista dalla banca insieme con la carta di credito.

 

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In questo la Rete è un mondo a parte, i cui protagonisti più potenti sono riusciti a scrivere delle regole a senso unico. Che si tratti della privacy di una star, o dei segreti industriali dei clienti di Google che furono saccheggiati da hacker cinesi, l’unica certezza è che la Silicon Valley non pagherà i danni a nessuno.

 

2. NELL’ERA DEL WEB ANCHE LO SPECCHIO È PERICOLOSO

Elena Stancanelli per “la Repubblica

 

I cofanetti di caramelle, quelli fatti come il forziere del tesoro. E i diari. Avevano le stesse chiavette, di latta, minuscole. Le portavamo al collo per maggiore sicurezza. Chiudevamo le nostre lettere nel forziere, i nostri segreti nel diario e poi mettevamo tutto quanto al sicuro con dei lucchetti che potevano essere forzati con uno stuzzicadenti. Certo che era un gioco, certo che una parte dell’eccitazione consisteva nel fatto che sapevamo di correre un enorme rischio. Era bello figurarsi le facce dei nostri genitori, dei fidanzati, dell’amica del cuore all’improvviso rivelarsi dei nostri più luridi e malriposti segreti.

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Ma era prima di Internet, quando ancora si poteva scherzare, quando le uniche cose che avevano conseguenze erano i fatti. Adesso le nostre vite sono in pericolo non tanto per quello che facciamo, ma per come cazzeggiamo. Lo sanno bene i politici: fa più danni un selfie stupido che portare un Paese allegramente in deflazione. La Rete è un moltiplicatore infinito, oltre che il luogo dove tutto si conserva.

 

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I nostri nipoti potranno eccitarsi davanti al culo della bisnonna di uno che nel 2014 aveva postato la foto della fidanzata per vendicarsi di un tradimento. La Rete è democratica: ieri qualche demente ha hackerato l’account di Jennifer Lawrence, domani potrebbe toccare alla tua vicina di casa che lavora da Auchan. E non è detto che in quel caso farebbe meno danni. Vale sempre la stessa avvertenza: prima di fotografarti senza mutande davanti allo specchio del bagno, pensa sempre che un giorno potresti uscire di casa e trovarti una gigantografia appesa sul muro del palazzo di fronte al tuo, con tanti saluti da parte dell’ultima persona che hai fatto arrabbiare.

 

3. POLAROID E LOCALIZZATORI, GUIDA ALLA PRIVACY IMPOSSIBILE

Maria Laura Rodotà per “Il Corriere della Sera

 

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Chi ha i suoi dati su iCloud, ora, riflette. Qualcuno rischia davvero di far la figura del/della erotomane. Altri, la maggioranza di noi, farebbe la figura dell’idiota. Tra selfie cretini scartati, messaggi imbarazzanti conservati anche se uno pensa di averli cancellati, ricerche salvate su tematiche tra l’ossessivo e lo stupidissimo. Nessuno di noi vorrebbe che fossero rese pubbliche.

 

Come Jennifer Lawrence e altre/i non avrebbero voluto vedere le loro foto senza vestiti eccetera su siti di condivisione non tanto legale. E avrebbero volentieri rinunciato alle pubbliche conferme che sì, quelle/i della foto sono loro. E non si dovrebbero cercare, e cliccare, quelle foto. Non solo perché si sarebbe legalmente perseguibili. Casomai, perché l’omissione sarebbe un atto di rispetto per la vita altrui e per la dignità di chi — ormai quasi tutti— esiste sul web.

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«Ringrazio il cielo che non ci fosse il web quando avevo vent’anni», usa dire Glenn Greenwald, il giornalista americano che ha pubblicato le rivelazioni di Edward Snowden sulla sorveglianza di massa della National Security Agency, e ha scritto No Place to Hide (titolo italiano Sotto controllo , Rizzoli).

 

Ora non c’è davvero più un posto dove nascondersi. Si è intrappolati nella rete di reti, tra spionaggio degli stati sui cittadini, algoritmi di Google-Facebook-Twitter in grado di prevedere chi si fidanzerà con chi prima dei diretti interessati, e hacker. A cui basta accedere ai dati che noi forniamo spontaneamente. Come le foto mandate via social network. In certi casi bisognerebbe tornare alle Polaroid, forse lo fa anche Glenn Greenwald.

 

JENNIFER LAWRENCE DIOR JENNIFER LAWRENCE DIOR

IL CLOUD DI APPLE IL CLOUD DI APPLE

Però è una via d’uscita per soli benestanti, un set di caricatori di stampe istantanee costa come un anno di abbonamento al wi fi. Però non va bene per fare sesso a distanza (chi si corteggia online spesso non vive nello stesso quartiere). Però anche chi posta foto di tramonti e gatti dovrebbe rendersi sempre conto di vivere nella nuova cultura della condivisione. E tenere conto che essere sul web è come essere per strada. E chiunque ti può incontrare, seguire, e può sviluppare e soddisfare curiosità delle più varie. 
 

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Chi è attento/a modifica sempre le impostazioni sulla privacy. Toglie i servizi di notifica dal telefono, per evitare messaggi di WhatsApp che compaiono a tradimento sullo smartphone, con nome cognome e pensieri del mandante. Alla Nsa e agli hacker queste restrizioni fanno un baffo; però limitano le ricerche di conoscenti e colleghi malevoli.

 

Chi ha un lavoro, o, peggio, ne cerca uno, deve tener conto che i candidati vengono ormai googlati, facebookati, rintracciati su Instagram (anche se si teme che questa estate di Ice Bucket Challenge abbia sdoganato a secchiate anche le foto in stato di ubriachezza).

 

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D’altra parte: ormai comportamenti che un tempo avremmo considerato indecorosi e/o scemi sono parte delle nostre vite. Sono modi «per facilitare una conversazione tra amanti», notava ieri sul Guardian la scrittrice Van Badham. Però attenti alle facilitazioni; servizi di sorveglianza e hacker sono difficili da battere, ma vale la pena di verificare il destinatario quando si preme sul tasto «invio». E altro .