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Guido Olimpio e Guido Santevecchi per corriere.it
La Sony Pictures si è arresa su tutta la linea: il film The Interview, commedia che immagina un complotto della Cia per assassinare il leader nordcoreano Kim Jong-un, è stato ritirato. Saltata la prima, annullata la programmazione nei cinema degli Stati Uniti, rinuncia anche a diffondere la pellicola in televisione o sul web, con il sistema a pagamento on-demand. Un danno commerciale grave per la società (la produzione del film è costata 43 milioni di dollari).
Ma soprattutto, ora si tratta di una questione politica che ha raggiunto l’intelligence Usa e la Casa Bianca. Era cominciata a fine novembre, come un’inspiegabile bravata di hackers sconosciuti che si erano inseriti nel server della Sony e avevano rubato email riservate e cinque film, minacciando altri attacchi se “The Interview” non fosse stato bloccato. Il ricatto, nell’America che si fa un vanto di non cedere mai ai ricatti, sta pagando e per gli Stati Uniti è improvvisamente diventato un grave caso di sicurezza nazionale.
Sotto accusa la Nord Corea
Funzionari dell’intelligence Usa dicono che i sospetti portano alla Corea del Nord. Il regime la scorsa estate, quando era stato diffuso il trailer del film, lo aveva definito un atto di guerra, aveva minacciato rappresaglie e si era anche rivolto all’Onu per bloccarlo. Poi, a novembre, l’attacco alla Sony.
Sugli schermi di tutti i computer aziendali è comparsa la scritta «Hacked by #GOP» (dietro la sigla GOP si nasconde il gruppo Guardians of Peace). La stessa firma che aveva preceduto un attacco in Corea del Sud, capace di oscurare la tv statale e i sistemi computerizzati di diverse banche di Seul. Ieri sera gli investigatori americani hanno rivelato di avere prove sul coinvolgimento di Pyongyang.
Il presidente Obama
La cancellazione del film ha avuto un tale impatto che è dovuta intervenire anche la Casa Bianca, nonostante ieri fosse il gran giorno del disgelo con Cuba. Obama ha trovato il tempo per dire che «Il cyber-attacco è molto serio, stiamo indagando e informeremo la gente. Ma per ora la mia raccomandazione è di andare al cinema». Martedì gli hackers avevano alzato il tono annunciando «una sorpresa di Natale», ammonendo il pubblico americano a «ricordarsi di quello che accadde l’11 Settembre del 2001». Subito dopo la Sony ha alzato bandiera bianca.
L’America ha perso la cyber-guerra?
Commentatori importanti, come Carl Bernstein, il giornalista che rivelò il Watergate, hanno osservato che gli Stati Uniti di fatto hanno perso la prima cyber-guerra nella storia, senza combatterla. Qualcuno dice che se davvero l’azione è stata architettata a Pyongyang, un piccolo Paese come la Corea del Nord, con un Pil da 40 miliardi di dollari, ha messo in ginocchio una multinazionale come la Sony, con profitti da 76 miliardi di dollari l’anno.
Le email del capo della Sony
Tra le email rubate e messe in rete dagli hackers, ci sono quelle con le quali Kazuo Hirai, amministratore delegato di Sony, ordinava a quelli della divisione Film e Intrattenimento di annacquare la scena in cui la testa di Kim viene fatta saltare da una cannonata. L’intervento dell’amministratore delegato risale a luglio, subito dopo che Pyongyang aveva definito il film «un atto di guerra» e minacciato «una reazione spietata» (Kazuo è giapponese e Tokyo è a tiro di missile dalla Nord Corea).
Il regista e attore americano Seth Rogen rispose che avrebbe «tolto tre o quattro segni di ustione dal faccione di Kim e ridotto del 50 per cento le fiamme sui capelli», ma niente di più. «L’esplosione della testa non può essere oscurata, perché altrimenti lo scherzo non funzionerebbe». La Nord Corea, sospettata dell’attacco ai server della Sony, ha negato il legame con gli hackers, ma un portavoce ha affermato con compiacimento: «Può essersi trattato dell’azione virtuosa di sostenitori e simpatizzanti della nostra giusta protesta contro un atto di terrorismo disgustoso».
Dietro gli hackers c’è la Nord Corea?
Per gli investigatori americani l’attacco contro la Sony è stato lanciato dal Bureau 121, un’unità speciale creata dall’esercito nordcoreano per azioni di hackers. Il Bureau 121 sarebbe composto da 1.800 tecnici scelti uno per uno tra i laureati della University of Automation di Pyongyang. Gli analisti Usa hanno trovato tracce dell’operazione in computer «infettati» in diversi Paesi: la rete tv Abc ha citato Singapore, Thailandia, Italia, Bolivia, Polonia e Cipro.
Non tutti però sono convinti del coinvolgimento della Corea del Nord e ritengono che i veri colpevoli abbiano cercato di far ricadere i sospetti su Pyongyang. L’intelligence Usa sostiene che l’episodio di cyber-war rientra nelle tattiche del regime di Kim Jong-un. I servizi hanno creato da tempo team di hackers che hanno colpito con grande successo, nel 2013, nella Corea del Sud.
Due anni prima, Seul ha sostenuto che i pirati si erano infiltrati nei giochi online a pagamento nelle speranza di raccogliere denaro per le casse esangui del «regno eremita». In alcuni casi, sempre secondo l’analisi statunitense, l’Ufficio 121 invece di usare i suoi esperti ha reclutato elementi in altre nazioni. Cosa che potrebbe essersi verificata anche per l’incursione contro la Sony. Non è stato escluso che l’attacco sia stato reso possibile da qualche complicità interna alla Sony. Una pista che però deve trovare riscontri.
I motivi del ricatto
Quanto ai motivi del ricatto alla grande compagnia e alle conseguenze più generali, gli osservatori sottolineano alcuni aspetti: 1) Il film commedia “The Interview” è considerato a Pyongyang un insulto gravissimo in quanto prende di mira il leader, Kim Jong-un: il culto della dinastia Kim in Nord Corea è stato alimentato fino a darle un carattere di fede quasi religiosa, non criticabile. 2)
L’episodio coincide con la fine di tre anni di lutto per la morte del padre del presidente. 3) Il regime continua con le sue provocazioni verso gli Usa per dimostrare di essere capace di fronteggiare la super potenza. 4) Si è creato un precedente serio, con la Sony costretta a cedere alle minacce di azioni terroristiche.
Ora altri «attori» potrebbero fare lo stesso mettendo stati o società davanti a scelte complicate. C’è chi, davanti alla accuse contro Pyongyang, invita a maggiore prudenza e sottolinea la mancanza di prove sicure. Un altro Paese oppure una banda di criminali avrebbe potuto pianificare l’operazione lasciando falsi indizi in modo da incastrare la Corea del Nord.
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