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VIDEO - "Where are We Now"
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Alberto Piccinini per il Manifesto
Ieri mattina mezzo mondo si è svegliato ascoltando David Bowie. "Where are we now?", la prima canzone incisa dopo dieci anni di silenzio e speculazioni di ogni genere sulla salute della rockstar è apparsa letteralmente dal nulla sul suo sito internet, che da qualche giorno risultava off-line. Alle cinque del mattino la Bbc l'ha mandata in onda. Un'ondata di stupore, gioia, malinconia, per qualcuno (pochi) di delusione, ha travolto i social network.
Su Twitter e Facebook non c'era chi non volesse esserci, postare, condividere, commentare la clip del videoscultore newyorkese Tony Oursler che accompagna la malinconica ballata, attraversata dai ricordi e dalle immagini del soggiorno a Berlino di Bowie, e dal pensiero di "camminare verso la morte".
Non era un giorno qualunque. Ieri Bowie festeggiava i suoi 66 anni. Festeggiare non sempre è il verbo giusto in questi casi. "Dovevo prendere il treno da Postdamer Platz/ non hai mai saputo che potevo farlo", canta, trentacinque anni dopo a qualcuno, che probabilmente, non c'era. Postdamer Platz, prima della caduta del Muro era uno spazio metafisico, abbandonato, sconvolgente. Gli Hansa Studios, dove venne incisa Heroes, stavano a due passi.
L'installazione di Oursler - che ha già lavorato usando la rockstar come modello, in passato - mette la faccia di Bowie accanto a quella di una ragazza, sui corpi di due pupazzi seduti a mo' di soprammobile su una grande scrivania. In una stanza della memoria ingombra di cose un video proietta vecchie immagini della capitale tedesca.
A trent'anni appena compiuti, dal 1976 al 1979 Bowie passò a Berlino gli anni tra i più felici e produttivi della sua lunga carriera. Veniva da Los Angeles e dal suo periodo fantascientifico ("il grande duca bianco"). Una dieta di solo latte, cocaina, Gouloises, l'avevano ridotto a uno scheletro. Quel che è peggio, la paranoia lo aveva riempito di impresentabili fantasie naziste. Fu a Berlino che vide, sul Muro, la scritta "Bowie" con la e trasformata in una svastica. E scese a più miti consigli con se stesso.
Girava in bici, in metropolitana, su una vecchia Mercedes con l'amico Iggy Pop ("Sempre sfasciando la stessa macchina", come scrisse in una canzone). Viveva in un grande appartamento a Schoneberg, pieno di gente. Passava la notte nei bar, o - come canta ancora in Where are we now? - "seduto al Dschugel a Nurberger Strasse/ un uomo perduto nel tempo".
Il Dschungel, all'epoca, la discoteca più bella del mondo libero, attraversata dai suoni del funk e dell'hip-hop che annunciavano la nuova epoca. A Berlino, con Brian Eno, il produttore Tony Visconti, Robert Fripp, Bowie reinventò il rock degli anni a venire. Gli spazi vuoti della città , le rovine, il peso della Storia fusa nel cemento del Muro. Il grande magazzino Kadewe, il ponte Bose, il primo aperto dopo la caduta del Muro, ricordati nella nuova canzone. Le memorie del cabaret, il sesso, l'espressionismo, le storie di spie, i quartieri turchi. Il racconto delle metropoli post-industriali comincia dalla Berlino di Bowie, e non è mai finito.
Di quegli anni è rimasto Tony Visconti, il produttore della musica di Bowie dal 1972, tornato a collaborare con il cantante nei suoi ultimi due dischi fin qui, Heathen e Reality, spogliati di ogni sperimentazione linguistica, e già attraversati dalla soffusa malinconia di Where are we now? "Dove siamo adesso?". Già , dove siamo adesso? A qualcuno la risoluzione della canzone sembrerà persino banale, nel suo arrendersi al tempo che passa, all'essere-vivi adesso.
"Finchè ci sarà il sole/ finchè ci sarà la pioggia/ finchè ci sarai tu/ finchè ci sarò io". Bowie ha trafficato a lungo col melodramma canzonettaro e le pose teatrali, ma non è questo. La dichiarazione di fragilità da parte di uno che da anni viene dato per malato di cancro e spacciato, sembrerà l'unica cosa che resta viva nel rock, così invecchiato e travolto delle sue stesse memorie.
In una scena del video Bowie indossa un enigmatica t-shirt con su scritto "Song of Norway". E' il titolo di un musical del 1970 al quale partecipò come comparsa Hermione Feather sua fidanzata freak-chic di allora. Si erano conosciuti da Lindsay Kemp. Lei scappò con un attore, lui si rifugiò in una comune autogestita. Dove siamo adesso? In un'epoca in cui si sa tutto di tutto, e i dischi si ascoltano in Rete settimane, spesso mesi prima della loro uscita, la segretezza con cui Bowie ha gestito il suo ritorno è tuttavia un piccolo capolavoro di comunicazione.
Fino a ieri le ultime foto apparse sui giornali erano le stesse degli ultimi anni: a spasso per Manhattan, pallido, con un cappello in testa e un borsa della spesa in mano. Neppure la casa discografica Columbia sapeva nulla. Una dichiarazione di ieri si limita a notare che "mettersi nell'ombra, evitare l'ingranaggio dell'industria è molto Bowie".
Non ci saranno interviste, neppure apparizioni promozionali, aggiungono. Soltanto la promessa di un nuovo album che uscirà il prossimo marzo. Titolo: the next day, il prossimo giorno. In copertina la stessa foto di Heroes, il capolavoro berlinese, ispirata alle opere del pittore espressionista tedesco Erich Heckel, ma coperta da un quadrato bianco.
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