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Michele Anselmi per "il Secolo XIX"
E se fosse "Diaz", il tosto film di Daniele Vicari che nessuno in Italia voleva produrre, e c'è voluta la grinta di Domenico Procacci per girarlo coinvolgendo nell'impresa produttori romeni e francesi, l'outsider nella partita per l'Oscar? Come anticipato dal "Secolo XIX" martedì scorso, il clima s'è fatto pesante attorno ai nove esperti che il 26 mattina dovranno riunirsi all'Anica per designare il titolo italiano da spedire all'Academy Awards nella speranza che finisca nella cinquina per il miglior film straniero.
Non succede dal 2006, l'anno di "La bestia nel cuore", e si respira una certa agitazione, non fosse altro perché tre dei nove giurati, tra impegni sul set e conflitti di interesse, hanno dato forfeit: il regista Paolo Sorrentino, l'esportatrice Paola Corvino e il produttore Nicola Giuliano. Per la cronaca la commissione, dopo vari rimaneggiamenti, risulta così composta: il regista Francesco Bruni, i produttori Angelo Barbagallo, Fulvio Lucisano, Lionello Cerri e Martha Capello, il distributore Valerio De Paolis, i critici Piera Detassis e Paolo Mereghetti, il dirigente ministeriale Nicola Borrelli.
Ci si augura votino con assennatezza, consapevoli che non il film più bello in assoluto, ma il più idoneo a concorrere, deve essere scelto. E qui nasce la domanda posta sopra. Nell'ambiente c'è chi ritiene che la sfida finale, tra i dieci film proposti dai rispettivi produttori, si giocherà tra "Bella addormentata" di Marco Bellocchio, "Reality" di Matteo Garrone e "Cesare deve morire" dei fratelli Taviani. E se invece fosse "Diaz" il cavallo su cui puntare? Insomma: "Diaz" come il "Fragole e sangue" del terzo millennio.
Chi ha superato i cinquanta ricorderà l'impatto emotivo di quel piccolo film di Stuart Hagmann, anno 1970, che raccontava l'irruzione della Guardia nazionale dentro una palestra universitaria dove giovani "contestatori", inginocchiati e disposti in cerchi concentrici, ritmicamente cantavano "Give Peace a Chance". Protesta pacifica contro una miope scelta del rettore, e insieme sfondo di una bizzarra storia d'amore tra il disimpegnato Simon e la militante Linda, finché tutto sprofonda in una violenza cieca esercitata dalle forze dell'ordine: gas lacrimogeni, bastonature, umiliazioni. Nell'ultima scena, Simon viene bloccato a terra: le mani alzate e aperte, a significare la resa di fronte al potere.
A Genova, nel luglio 2001, andò molto peggio. Vale quanto denunciò Procacci all'uscita del film, nell'aprile 2012: «Fino ad ora è mancata un'assunzione di responsabilità chiara sugli atroci eventi alla Diaz e Bolzaneto. Quello della Polizia fu un comportamento criminale, Amnesty International parlò della "più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale". Sarebbe importante che lo Stato parlasse, se possibile prima della sentenza in Cassazione prevista a giugno». Il ministro Cancellieri parlò dopo, a sentenza confermata, promettendo di andare a vedere il film: l'avrà fatto?
Ma intanto "Diaz", che in Italia ha incassato circa 2 milioni di euro, pochi rispetto a quanto è costato, quasi 8 milioni, è stato venduto quasi dappertutto: Francia, Spagna, Inghilterra, Germania, Svizzera, Polonia, Canada, Brasile, Australia, solo per dire alcuni dei tanti Paesi. Anche negli Stati Uniti, dove per ora non ha distribuzione, il film ha colpito nel segno: prima al Festival internazionale di Seattle, poi in una proiezione al Lincoln Center di New York all'interno della rassegna "Open Roads, New Italian Cinema". Proprio a Seattle, rivelò Vicari, scattò fortissima l'emozione del pubblico di fronte alla testimonianza di Chris Hager, padre di una giovane musicista americana che dormiva alla Diaz, pestata a sangue dai celerini proprio sulle mani.
Naturalmente nessuno dei nove commissari si sbilancia sul voto, ci mancherebbe. La designazione del film per l'Oscar è questione delicata, con contorno di ripicche, malumori, sospetti. Ma al "Secolo XIX" risulta che "Diaz", sulle prime considerato fuori gioco, sta risalendo nei pronostici. Avrebbe senso, perché è un film schietto che parla a tutti, rievocando con precisione un momento atroce della recente storia patria e insieme metaforizzando la repressione contro un'intera generazione.
Del resto, i circa 450 giurati dell'Academy chiamati a scegliere la rosa di titoli nella categoria "best foreign language movie", cioè non girato in inglese, sono meno prevedibili di quanto si pensi. Negli ultimi anni hanno laureato film come il giapponese "Departures" e l'argentino "Il segreto dei tuoi occhi", il danese "In un mondo migliore" e l'iraniano "Una separazione". Non cercano l'oleografia, non si accontentano più di "Mediterraneo". Per questo "Diaz", col suo carico di dolore e ingiustizia, ma anche di rabbiosa pietà verso una gioventù offesa, potrebbe essere la scelta migliore. Specie ora che la Francia ha designato l'inarrestabile "Quasi amici", e non sarà facile contrastarne la forza universale.
Daniele Vicari Diaz di Daniele Vicari diaz-non-pulire-questo-sangue-di-daniele-vicariDIAZ NON PULIRE QUESTO SANGUE DI DANIELE VICARI BELLOCCHIO A VENEZIA jpegmatteo garrone PAOLO TAVIANI
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