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“IL CINEGIORNALE RENZI” DELLA MOGLIE DI RONDOLINO - TELESE: "PRIMA OCCHETTIANA, POI DALEMIANA, SIMONA ERCOLANI ORA È COSÌ RENZIANA DA FARE DEL SUO FORMAT “STORIE” UNA VERSIONE AGIT PROP PER MAGNIFICARE MATTEUCCIO: DI OCCHETTO E D’ALEMA HA DETTO POI PESTE E CORNA, RENZI DEVE PREGARE CHE A LUI VADA MEGLIO..."

LUCA TELESELUCA TELESE

Luca Telese per “La Verità”

 

Ma quant' e bello il cinegiornale Renzi. Adesso esiste, è girato bene, ti fa scoprire tante cose, ed è diventato anche un format para -giornalistico.

 

Lo ha inventato (e lo produce), con la sua società, la «Stand by me», Simona Ercolani, autrice televisiva di successo, oggi fedelissima del premier insieme al marito, Fabrizio Rondolino, quello che dice che i professori vanno picchiati perché manifestano contro la #Buonascuola.

 

Simona la conosco da tanti anni: passionale, viscerale, intelligente sempre devota ad una causa. Ma sempre a una causa diversa. Nel1994, quando sembrava che Occhetto stesse per vincere, era occhettiana (poi di Akel ha detto peste e corna). Nel 1999, quando sembrava che Massimo D' Alema stesse per vincere era dalemiana (poi di D' Alema ha detto peste e corna).

 

Adesso, da quando è sembrato che Matteo Renzi potesse vincere, è ovviamente diventata una fervente renziana (e - caro Matteo - prega che a te vada meglio).

 

Simona oggi è così renziana da prendere il format che le ha regalato il successo -Storie -e farne una versione agit prop, che si intitola Storie dall' Italia che cambia, una galleria di ritratti che vengono caricati sul sito del Pd e poi diffusi nella rete, per glorificare l' operato del governo.

ERCOLANI RONDOLINOERCOLANI RONDOLINO

 

Quando suo marito Fabrizio pubblicò Secondo avviso, un romanzetto con alcune pagine hot in cui si descrivevano con dovizia di dettagli copule e fellatio, la Ercolani rilasciò una intervista a Giancarlo Perna in cui raccontava:

 

«A me e Fabrizio piace vedere i film porno insieme, appena escono». In una Italia ancora bacchettona fu quello il colpo di grazia che costrinse Rondolino alle dimissioni. La battuta apocrifa attribuita a D' Alema è questa: «Non voglio entrare nelle tue questioni personali, ma devi scegliere se rappresentare palazzo Chigi o Schicchi». Cult.

 

Storie dall' Italia che cambia è girato con la stessa abilità del programma di cui è uno spin off. Con una variante interessante, nella scrittura, che tende a trasformare ogni biografia in una parabola evangelica del renzismo.

 

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Prendete per esempio la prima puntata, la storia dell' imprenditore Alessio Romeo. 1) Inizio. Primo piano del protagonista. Musica romantica e malinconica tipo la colonna sonora Yann Tiersen per Amelie: «Nasco in Sicilia, nella provincia di Palermo nei posti più titolati per tristi eventi, mafiosi». L' armonica con accordi struggenti, Alessio racconta di essere diventato orfano, una vita dura.

 

2) Formazione difficile, musica di archi cupa: «Cresco nelle strade». Il fratello -dice -«a cinque anni leggeva Time». Lui inventa e ripara, si laurea con 110, ed era - ci racconta Simona preoccupata «un cervello in fuga». Andiamo malissimo. Alessio vuole inventare una start up, delocalizzandola all' estero. Note sospese, accordi dolenti: «Per me era impensabile farlo in Italia». Già pensava «di creare un back office in Romania o in Albania». Ma poi la luce.

 

RENZI OKRENZI OK

3) Musica che pompa, percussioni. Simona ci informa con un cartello che il miracolo è avvenuto: «Fra il 2014 e il 2015 entra in campo la riforma del lavoro, conosciuta come Jobs act».

 

Tappeto musicale di chitarre elettriche: «La riforma rende più facili e più semplici assunzioni con contratti a tempo indeterminato e sgravi per le aziende». A tempo indeterminato in neretto. E così Alessio ci informa che, evviva, è potuto rimanere in Italia. Alé. Fine della parabola.

 

Guardi questo documentario e pensi che il limite dell' agiografia, o della propaganda - che spesso è di ottima qualità - è nella tesi telefonata a cui piegare tutto. Quel cartello, che infila la storia di Alessio in una morale governativa, non è informazione, ma una trappola, che rende meno bello persino il suo racconto. Meglio una storia amara che profuma di vero, che una storia vera, contaminata con un finale a tesi.

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