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Andrea Silenzi per www.repubblica.it
A metà degli anni Ottanta, la sua It's my life era diventata un inno. Ma Mark Hollis, scomparso oggi a 64 anni (era nato a Londra il 4 gennaio 1955), era molto diverso rispetto agli eroi del pop di quel decennio. Insieme ai Talk Talk aveva raggiunto il successo internazionale, ma non aveva quasi nulla della presunta spensieratezza e dell'edonismo con cui è stato archiviato quel decennio. A dare notizia della sua scomparsa i tweet del collega The The e del cugino scrittore Anthony Costello.
Dopo aver formato nel 1978 i Reaction, con cui incise un solo singolo, Hollis, cantante e polistrumentista, incontrò nel 1981 il bassista Simon Brenner e il batterista Lee Harris. La partenza dei Talk Talk seguì la scia del filone new romantic con l'album The party's over, pubblicato nel 1982, ma quella fascinazione durò molto poco. Il successo arrivò due anni dopo con l'album (e la canzone) It's my life: il pop di Hollis era sbilenco e malinconico, la sua voce singhiozzante ricordava quella del primo Bryan Ferry, le melodie erano irresistibili. It's my life e Such a shame divennero in breve successi internazionale, grazie anche ai videoclip programmati a ciclo continuo dagli allora potentissimi canali musicali. Proprio It's my life divenne in breve un classico del pop inglese, al punto che vent'anni più tardi i No Doubt ne incisero una fortunata cover.
Ma la categoria 'pop' andava molto stretta a Hollis. Che dopo un altro album più o meno in linea con il disco del boom (The colour of spring, che conteneva anche la canzone Life's what you make it, presentato al Festival di Sanremo del 1986) iniziò a esplorare terreni sempre più complicati. Con Spirit of Eden del 1988, inciso dopo quattordici mesi di isolamente creativo, Hollis voltò le spalle al pop inseguendo un suono contemporaneo più legato al jazz che non alla forma canzone tradizionale. Uno strappo che i discografici non riuscirono a sopportare: la Emi interruppe il contratto con la band, che passò alla Verve per tentare un'operazione ancora più complessa e coraggiosa.
Hollis spinse la sua sperimentazione fino ai limiti del post pop. Laughing stock del 1991 è uno dei dischi più coraggiosi degli anni Novanta, fatto di ritmiche non lineari, di rumori, di inserti classici e di una astratta malinconia. Esaltato dalla critica, Hollis non ottenne però nessun successo commerciale. Persi per strada i suoi due compagni, continuò a sperimentare pubblicando ben sette anni dopo un album solista intitolato semplicemente Mark Hollis.
Un disco elusivo, specchio della sua volontà di rendersi sempre più invisibile e lontano dal rumore dello star system. Da quel momento in poi Hollis ha iniziato il suo lento ritiro dalle scene lasciando spazio solo a rare collaborazioni, tra cui quelle con gli Unkle nel 1998 o quella con Anja Garbarek per l'album Smiling and waving del 200. Nel 2012 ha composto il brano ARB section per un episodio della seconda stagione della serie tv Boss. Ma sempre tenendo a distanza tutto e tutti. L'anti popstar dalla voce singhiozzante e malinconica è rimasto coerente fino alla fine.
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