DAGOREPORT: PD, PARTITO DISTOPICO – L’INTERVISTA DI FRANCESCHINI SU “REPUBBLICA” SI PUÒ…
Arturo Zampaglione per “Affari&Finanza - la Repubblica”
Un' esplosione dei social media è stato il motore trainante della campagna elettorale americana, secondo uno studio del Pew Research center, e sembra aver contributo in modo determinante prima al boom di Donald Trump e poi all'implosione, almeno in questa fase, del partito repubblicano.
bill clinton hillary e donald trump
Quando Trump, forte del successo nelle primarie dove ha ottenuto 13,4 milioni di voti, cioè più di ogni altro candidato nella storia del partito, si è lasciato andare a intimidazioni e commenti razzisti sul giudice di origini messicane che indaga sulla truffa alla Trump university, sul web si è scatenato un putiferio.
Il traffico sullo hashtag #nevertrump, che raccoglie i commenti degli oppositori del tycoon newyorkese (e di quanti puntano a un candidato alternativo), è aumentato dell' 8%, secondo i dati di Spredfast Intelligence: alimentando la reazione indignata dell' establishment repubblicano e il ritiro del sostegno al candidato ufficiale da parte di molti parlamentari, a cominciare dal senatore dell' Illinois, Mark Kirk, che era considerato un papabile per la vicepresidenza.
Trump è corso ai ripari, con incontri, mezze smentite, discorsi soft e soprattutto con una raffica di tweet: che per il momento però non è stata sufficiente a placare le polemiche, né a togliere quel marchio d' infamia che rischia di perseguitarlo fino al voto di martedì 8 novembre per la Casa Bianca. Per ironia della sorte, era stato proprio Trump, all' inizio, a capire meglio dei suoi concorrenti l' importanza di Facebook, Twitter, You-Tube, Snapchat e altri social media, facendone lo strumento- chiave assieme ai suoi show in diretta televisiva, della sua rapida e inaspettata ascesa.
Il profilo del tycoon su Facebook ha più di 8milioni dl "like", mentre il suo account Twitter ha 8,8 milioni di seguaci (in confronto, Hillary è più forte su Twitter, con 12,8 milioni, ma più debole su Facebook). Durante i duelli televisivi con gli altri candidati repubblicani, Trump è stato bravissimo nello sbugiardare i rivali in tempo reale sui social media e prendere in giro le loro dichiarazioni.
La vittima più illustre? Jeb Bush. Il figlio e fratello di due ex-presidenti aveva difeso come un "atto di amore" l' accoglienza riservati a tutti i rifugiati, sia pure illegali. Dopo pochi secondi sul web circolavano le immagini di immigrati ispanici in procinto di commettere reati e violenze. Sotto, una scritta con un riferimento ironico alle parole "d' amore" di Bush, che poi è uscito con le ossa rotte dalla stagione delle primarie.
Trump ha voluto affidare le sue offensive sul web a un collaboratore fidato, Don Scavino.
Ex-golfista, per dieci anni dirigente nella holding del tycoon, è stato nominato direttore per i social media della macchina elettorale repubblicana.
Scavino si occupa anche di rapporti internazionali: era stato lui, ad esempio, a organizzare l' incontro in aprile in Pennsylvania tra Trump e Matteo Salvini, che poi il miliardario ha negato di aver avuto, a dispetto delle foto, creando un giallo internazionale e molto imbarazzo nelle file della Lega. In realtà il vero compito di Scavino è di sparare a ripetizione e senza tregua su Hillary Clinton.
Giovedì scorso, dopo l' endorsement ufficiale della Casa Bianca, che per la prima volta è arrivato sotto forma di un video del presidente Obama postato su Facebook a favore della Clinton, Scavino si è scatenato. "Obama appoggia la disonesta Hillary, il resto dell' America non la vuole", ha ironizzato sull' account di Trump. Affidata anch' essa a collaboratori, la risposta della candidata democratica è arrivata pochi secondi dopo con un twitter in gergo: "Cancella il tuo account".
Come dire: le tue opinioni sono così tremende che dovresti essere estromesso da questa piattaforma. «La realtà - osserva Frank Speiser, fondatore di SocialFlow - è che queste del 2016 sono le prime elezioni veramente dominate dai social media, che fino al 2012 rappresentavano solo forme ausiliarie di comunicazione ». Il ruolo dei social media è più forte che mai, ha aggiunto in un editoriale il giornale politico The Hill, mentre, secondo il Wall Street Journal, "la rivoluzione digitale ha spazzato via i media tradizionali indebolendo la presa sull' opinione pubblica dei due grandi partiti americani".
Intendiamoci: la televisione resta ancora il canale principale di diffusione delle notizie elettorali. Secondo un sondaggio condotto a febbraio dallo stesso centro Pew, nella settimana appena precedente il 91% di americani aveva ricevuto degli input politici e, con il 24% del totale, la tv via cavo rappresentava la fonte più utile tra le undici elencate. E mentre in questa stessa ricerca i quotidiani nazionali di carta sono finiti al nono posto, con appena il 2% di americani che li consideravano importanti, i social media erano saldamente al secondo con uno share del 14 per cento, mentre siti web e app erano al 13 e la radio all' 11 per cento.
Secondo un altro rapporto del Pew, i social media sono centrali nell' informare i giovani Millennials, specie quelli di tendenze democratiche: tre su quattro considerano Facebook e Twitter lo strumento principale di informazione, mentre la percentuale scende al 50 per cento per i giovani repubblicani.
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