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Laura Dean per “Global Post”
Sondos Shabayek è a capo del “BuSSy project”, gruppo teatrale nato come risposta a “I monologhi della vagina” di Eve Ensler. Dopo la rivoluzione egiziana del 2011, al gruppo è venuta l’idea dei “Tahrir Monologues”, storie dei giorni di protesta a piazza Tahrir, e ora propone una nuova performance sulle vite degli adolescenti egiziani intitolata “Five hundreds”. Ovviamente lo spettacolo è stato vietato perché parla di sesso e masturbazione. Al festival, la proprietaria del teatro ha chiesto di modificare il testo per via del linguaggio “inappropriato”, il gruppo si è rifiutato e, per combattere la censura, lo scorso mese si è esibito in uno spazio de Il Cairo, di proprietà della “American University”, e ora è in tour per il paese e all’estero. Ce ne parla la Shabayek.
Cos’è il “BuSSy Project”?
«L’idea originale è ispirata a “I monologhi della vagina”, per dare una voce alle donne egiziane. Abbiamo iniziato raccontando la violenza sessuale di piazza Tahrir e abbiamo fatto performance sulla nostra percezione della mascolinità. E’ anche un modo per rafforzarsi tramite il racconto. La gente spesso pensa che le storie personali siano poco importanti».
Come nasce il nome?
«E’ un gioco di parole con l’inglese “pussy” (fica) ma lo scriviamo in arabo per non avere rogne. Nella nostra lingua significa “Guarda!”, imperativo. Anche in America volevano cambiarci il nome, non solo in Egitto. Spero che i giovani si riconoscano negli attori sul palco. Nessuno si interessa ai giovani, in una fase così importante per la loro formazione. Inizialmente gli attori erano adolescenti, ora sono adulti professionisti, perché il tour si è espanso e i più giovani dovevano andare a scuola. Inoltre è stressante condividere storie intime, per i minori dovevamo avere il consenso dei genitori ed era una catastrofe»
E’ più difficile essere adolescente in Egitto?
«I problemi degli adolescenti sono universali, ma altrove, a 18 anni, non sei più visto come un bambino, invece qui lo sei finché non ti sposi. I giovani hanno una crisi di identità e di identità di genere, cercano di trovare se stessi, è una prigione»
Gli insegnanti di questi adolescenti che reazione hanno al progetto?
«Non mi aspetto una reazione positiva, né da loro né dai genitori. Parliamo di sesso, masturbazione, droghe e il titolo dello spettacolo è “Five Hundreds”, un nome in codice che si usa quando gli adulti fanno irruzione. Serve a cambiare velocemente argomento. Le reazioni sono belle e brutte, sempre estreme. C’è chi urla, chi piange, chi ci abbraccia, e chi tenta di picchiarci. Le cose sono un po’ migliorate dal 2010, quando ci esibivamo nei parcheggi fuori i teatri e arrivava la polizia.
monologhi della vagina in egitto
Ci hanno chiesto di sottoporre il testo ai censori, noi glielo abbiamo dato, omettendo alcune storie che poi avremmo comunque portato sul palco, e quelli lo hanno cassato lo stesso. Parti innocue tipo “Vorrei dormire con una donna”. Folle. Ridicolo. Con la versione censurata il pubblico pensava che gli attori si riferissero a qualcosa di molto più spinto. E’ questo l’effetto. I censori sono addirittura venuti a teatro per controllarci e noi abbiamo fatto solo metà testo, il resto lo abbiamo dovuto mimare».
Vi proponete a teatri statali?
«Ci darebbero una platea più numerosa, ma a quale costo? E per farci cambiare il testo da qualcuno che non capisce nulla di teatro? Non andiamo dai censori né facciamo autocensura. Il problema per loro non è il linguaggio, ma il tema. Il progetto “Bussy” è ormai politico, è una forma di lotta e di resistenza, è come camminare con addosso una bomba ad orologeria».
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