1. VIAGGIO NEL CAMPO DI ‘’CONVERSIONE GAY’’ IN ARIZONA, DOVE SEDICENTI GUARDIANI AIUTANO GLI OMOSESSUALI A TORNARE “NORMALI” RICONCILIANDOLI COI TRAUMI INFANTILI 2. ‘’ERA IL MIO PRIMO GIORNO AL “JOURNEY INTO MANHOOD”. ERAVAMO 30 GAY (IO IN REALTÀ ERO GIORNALISTA INFILTRATO, ETERO E ATEO) E 15 MEMBRI DELLO STAFF, CHIUSI IN UN RANCH A DUE ORE DA PHOENIX. IL COSTO PER IL TRATTAMENTO È DI 650 DOLLARI” 3. ‘’CHE COS’È UN UOMO?”. COME ALTRI PROGRAMMI DEL GENERE, QUI SI RACCOLGONO MIGLIAIA DI DOLLARI PROMETTENDO QUALCOSA CHE NON SI PUÒ OTTENERE. E, AGGIUNGO, SONO CORSI PERICOLOSI. MOLTI DEGLI OMOSESSUALI CHE LI HANNO FREQUENTATI, SI SONO POI SUICIDATI. TROPPA REPRESSIONE, SENSO DI COLPA, SENSO DI FALLIMENTO’’

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Ted Cox per “Dailydot”

 

Non ricordo esattamente quando sentii la sua erezione contro il mio posteriore. Forse quando mi sussurrava all’orecchio una preghiera o forse quando gli altri uomini nella stanza cantavano. Ero seduto a terra fra le gambe della guida, che mi abbracciava nella posizione chiamata della “motocicletta”. Intorno a noi c’erano cinque uomini in cerchio che mi accarezzavano. Altri gruppi facevano la stessa cosa. Si chiama “terapia curativa del tocco”. 

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Era il mio primo giorno al “Journey into Manhood”, ritiro del weekend per aiutare i gay a tornare “normali”. Eravamo 30 omosessuali (io in realtà ero giornalista infiltrato, etero e ateo) e 15 membri dello staff, chiusi in un ranch a due ore da Phoenix, in Arizona. Il costo per il trattamento è di 650 dollari. Come altri programmi del genere, qui si raccolgono migliaia di dollari promettendo qualcosa che non si può ottenere. E, aggiungo, sono corsi pericolosi. Molti dei gay che li hanno frequentati, si sono poi suicidati. Troppa repressione, senso di colpa, senso di fallimento. L’unica nota positiva è che per la prima volta sono costretti ad ammettere davanti ad altri il proprio orientamento sessuale. 

 

Con me sono arrivati al campo altri tre uomini: un californiano di mezza età, sposato e con figli, un giovane padre texano, un single trentenne del Texas che lavora come biologo e ha già un “JIM” alle spalle. Io mento, invento una storia su di me e mi sento orribile per questo.

 

Il campo è al centro del nulla. Mi ritirano il cellulare per non avere contatti col resto del mondo. Un uomo mi accompagna alla stanza, è vestito in nero e ha in mano un bastone. Nel cammino mi chiede: «Che cos’è un uomo?». Come lui ce ne sono altri cinque, che ci seguono dalla reception al lodge. Altre domande seguono: «Che cosa rende un uomo tale? Come fai a sapere di essere un uomo? Perché sei qui?».

 

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Entro in una stanza in legno, al centro ci sono sedie in cerchio, con altri gay da convertire. In terra c’è una candela accesa, si sente musica degli indiani d’America in sottofondo. Ci sono le Guide e gli assistenti, ma nessuno è psicologo o terapista professionista. 

 

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Lo staff mette in scena la favola di “Jack e il fagiolo magico”, riveduta e corretta, dove i semi stanno per sperma e tutto si basa sulla potenza maschile della creazione. Poi è tempo di esercizi: ci mettono uno di fronte all’altro e ci chiedono di immaginare la storia del nostro dirimpettaio. Al rullo di tamburo, si passa a quello successivo, sempre fissando l’uomo negli occhi. Per un altro esercizio ci bendano e ci mettono in cerchio, poi battono i bastoni a terra urlando come a una lezione di ginnastica del liceo: «Forza, prendilo! Fai schifo. Come hai fatto a mancarlo? Andate a farvi la doccia!».

 

Quando mi tolgo la benda, noto che gli altri sono profondamente scossi. Probabilmente erano riaffiorati tremendi ricordi dell’adolescenza. Alcuni sono in lacrime. Lo staff ci porta in un’altra stanza, ci sediamo lungo il muro, al buio. Ci mostrano le tecniche della “terapia del tocco”, probabilmente per ricreare l’abbraccio fra padre e figlio. Secondo loro la mancanza di affetto paterno è il motivo scatenante dell’omosessualità. 

 

Ognuno di noi sceglie la tecnica con cui vuole essere trattato dai guardiani. L’atto è assolutamente non sessuale, ci tengono a dire. Eppure l’uomo che mi abbraccia è in piena erezione. 

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Uno ad uno i partecipanti parlano, raccontano i loro dolenti ricordi d’infanzia. I guardiani li aiutano a ricostruire le scene che hanno patito o subito da piccoli, diventano i loro “carnefici”. Se ad esempio un ragazzo racconta del padre che non gli dava attenzioni perché era impegnato a leggere il giornale, il guardiano si trasforma in quel padre e dice: «Non ho tempo per te, non vali niente. Lasciami stare». 

 

I partecipanti devono tornare piccoli, prendere in mano quella situazione e cambiarla.  Reagire come avrebbero voluto reagire allora. Liberarsi, anche in modo violento, al grido di «Mena tuo padre! Liberatene! Finiscilo!». Finché un altro guardiano non recita la parte del Nuovo Padre, che lo abbraccia dicendogli: «Ti voglio bene. Ci tengo a te».

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Voglio tornare a casa. Ho firmato, come tutti i partecipanti, un accordo in cui mi impegno a non rivelare quello che ho vissuto lì dentro. Ma come posso tacere ciò che ho visto? Quando me ne sono andato il “JIM” mi ha dato informazioni per altri due weekend del genere, promettendo sconti speciali.

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