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di Claudio Plazzotta per “Italia Oggi”
Il primo trimestre da direttore del Fatto quotidiano è appena terminato. Anche se Marco Travaglio si sente tutto fuorché un direttore, «non c'è niente da fare, sono solista dentro» e per ora si arrabatta, sbuffando, tra tutte quelle «incombenze burocratiche, amministrative, di gestione del personale, di gente che ti vuole incontrare, di rapporti da intrattenere» che non erano proprio in cima ai suoi pensieri quando iniziò a scrivere i primi articoli.
Intanto, questo fine settimana esce il suo nuovo libro Slurp (Chiarelettere), una divertita presa per i fondelli del leccaculismo di tanti giornalisti, dove i fuoriclasse sono Emilio Fede, Giuliano Ferrara («uno che, tolto Benito Mussolini perché non era ancora nato, li ha leccati tutti»), Gianni Riotta, Giovanni Minoli o Renato Farina. E visto che oggi la Juve si gioca la finale di Champions league, c'è spazio pure per il Travaglio Gobbo, «in sonno da troppo tempo a causa di Luciano Moggi. Ormai, sono un tifoso freddino. Certo, se al Bernabeu facciamo un gol ».
Domanda. Allora, è direttore del Fatto dall'inizio di febbraio. Un consuntivo di questo primo trimestre
Risposta. Come dicevo, la direzione ha delle incombenze burocratiche. Io ho sempre fatto il solista, sono freelance dentro, non ho mai studiato per fare il direttore, non ho mai pensato né sperato di diventarlo. Non sono attrezzato, insomma. Diciamo che cerco di difendere con le unghie e con i denti il mio tempo quotidiano dedicato alla scrittura, che è poi l'unica ragione per cui faccio il giornalista e che è infinitamente più gratificante anche della tv. Non riuscissi a scrivere, rinuncerei alla direzione.
MARCO TRAVAGLIO MAGNA - VALERIA GOLINO
D. Soddisfatto o pentito?
R. Non sono soddisfatto, non sono mai soddisfatto. Ho la fortuna di avere due ottimi vicedirettori e una redazione che è una fucina di idee e di notizie. Così abbiamo una prima pagina quasi sempre diversa dagli altri quotidiani.
D. Il 16 maggio esce Slurp. E alla sua casa editrice, Chiarelettere, saranno felici: ormai Gianluigi Nuzzi fa la star televisiva, è diventato uno scrittore pigro, e hanno dovuto pungolare il duo Bisignani-Madron per uscire con un nuovo libro, così da dare una mossa alle vendite
R. Spero che siano felici anche i lettori. Slurp lo presentiamo domenica al Salone del libro di Torino, con Antonio Padellaro. Sono 500 pagine, ma ho fatto anche di peggio, fino a 900 pagine. Ho finito di scriverlo martedì scorso.
D. Libro, tv, tournè in teatro. E il lavoro di direttore?
R. Con le videoconferenze e il sistema editoriale che gira sul mio portatile, si riesce a controllare tutto anche da fuori. Ma non sono in tournè. Farò ancora solo tre-quattro spettacoli teatrali da qui a settembre. Il mio problema, ripeto, è non avere la testa da direttore d'orchestra. Avessi fatto il caporedattore mi sarei già allenato. Ma io, anche quando abbiamo fondato Il Fatto quotidiano, mi sono fatto fare un contratto da co-co-co, sono un solista nell'anima. Non mi sono mai relazionato con i colleghi in un rapporto gerarchico. Per esempio, non sono capace di fare i cazziatoni. Mi arrabbio se sbagliamo qualcosa, ma non riesco a chiamare uno per fargli il culo.
D. I giornalisti ex Unità sono chiamati a risarcire direttamente centinaia di migliaia di euro per le cause di diffamazione. C'è una giusta mobilitazione. Che però non ci fu quando lei dovette risarcire un sacco di milioni di vecchie lire a Cesare Previti
R. In effetti io sono stato un apripista, dal 1998 e per un bel po' di tempo versai un quinto del mio stipendio a Cesare Previti per un articolo sull'Indipendente in cui lo avevo definito cliente di procure e tribunali. L'Indipendente fallì, e io dovetti pagare. Il bello è che avevo ragione, Previti era stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Brescia. Ma l'avvocato dell'Indipendente non mi avvertì mai di quella causa, io non potei difendermi e fui condannato in sede civile. Versai una trentina di milioni di lire. Comunque la vicenda dell'Unità è uno scandalo e una vergogna: dietro c'è un partito che ha incassato un sacco di soldi pubblici e che ha un patrimonio enorme.
D. Con l'ingaggio di Selvaggia Lucarelli sembra piuttosto chiaro l'intento di allargare il target di potenziali lettori del Fatto. Il giornale è percepito un po' troppo maschile?
R. In effetti sì, soprattutto per gli argomenti trattati, e non per le firme, perché abbiamo tantissime donne che scrivono sul Fatto. Dobbiamo prendere atto che la politica si è raffreddata, non c'è battaglia, è gelata e raggelante, c'è poca dialettica. E andare a inseguire ossessivamente ciò che accade nel Palazzo, oggi, ha meno senso. Meglio uscire dal Palazzo. E Selvaggia arricchisce quella parte del giornale, ed è un bene. È arrivato anche Pietrangelo Buttafuoco. Ma rimarrò con le antenne dritte per trovare altre firme interessanti e portarle qui, compatibilmente con i conti.
D. A proposito di conti: il vecchio amministratore delegato del Fatto quotidiano, Giorgio Poidomani, ha sempre criticato l'eccessiva distribuzione di dividendi a favore dei soci del Fatto. Avrebbe preferito più investimenti in azienda
R. Non lo dica a me che, in quanto socio, ho votato sempre contro la distribuzione di dividendi. Tuttavia abbiamo riserve ampie e capisco che fosse difficile giustificare la mancata distribuzione di dividendi nei confronti degli azionisti-imprenditori.
D. Lei lavora con Michele Santoro in tv da molto tempo. Ha capito cosa farà?
R. Per ora porta a termine l'ultima stagione da conduttore di un talk continuativo. Giovedì finisce Servizio Pubblico, poi ci sarà Anno Uno, e a giugno un finale a sorpresa. Da lì, vedremo. Anche la web tv è una cosa di cui si devono occupare quelli che sanno fare tv. Io, al massimo, sono un buon ospite, ma non so fare la tv.
D. E ha capito cosa vuol fare Urbano Cairo con La7?
R. Francamente no, ma non me ne sono molto interessato, può fare quello che vuole, non è che mi freghi più di tanto.
D. Torniamo a Slurp. Lei è implacabile contro i colleghi giornalisti
R. Non ce l'ho coi giornalisti come categoria. Ho sempre fatto i nomi e i cognomi, facendomi, ovviamente, molti amici. Questa volta, comunque, la butto sul ridere. Da almeno 20 anni colleziono le leccate di culo, avevo una cartella «Leccaculo» che nel frattempo si è trasformata in scatoloni che da terra mi arrivano almeno all'anca, e in cui ho conservato cortigianerie, piaggerie, sciocchezze.
D. Chi sono i capocannonieri?
R. Ci sono i più prolifici, quattro o cinque fuoriclasse: per esempio Emilio Fede, che ora, però, mi commuove. Perché ci sono i leccaculi e i leccaculo. Ecco, lui ha leccato sempre lo stesso, ma non gli è andata bene. Altri sono stati più versatili, hanno dimostrato grande elasticità di lingua. Giuliano Ferrara, per esempio, ha mancato Benito Mussolini solo perché non era ancora nato. Altrimenti gli altri li ha leccati tutti. È arrivato a leccare perfino Antonio Di Pietro, criticando Bettino Craxi perché contrastava il suo operato come magistrato. Un altro grandissimo è Bruno Vespa, e poi Gianni Riotta, Giovanni Minoli. O Renato Farina: memorabile un suo pezzo in cui racconta una notte di Natale ad Arcore. Farina regala a Berlusconi un salame e riceve, in dono, un Rolex.
D. Pentito di aver votato Antonio Ingroia alle ultime elezioni politiche?
R. Bah, io voto sempre all'incontrario. Tanto in Italia le elezioni politiche sono prevedibili, basta alternare: ogni volta che ne provi uno al governo, poi la volta dopo lo butti via. Io ho sempre votato per chi avrebbe perso. Il progetto politico di Ingroia è fallito. Lui è una persona perbene, ma ha sbagliato i tempi. Io gli avevo dato alcuni consigli: di aspettare, di rimanere in Guatemala con quell'incarico internazionale, di fare passare del tempo dal suo addio alla magistratura prima di dedicarsi alla politica. E poi era prevedibile che in quel momento lo spazio politico scelto da Ingroia sarebbe stato tutto cannibalizzato dai 5 Stelle. Inoltre Ingroia non doveva caricarsi quel vecchiume vetero-sinistrista, tutta gente che non poteva riciclarsi senza puzzare di vecchio.
D. C'è Real Madrid-Juve. Ci si gioca la finale di Champions league. Il cuore le freme, da tifoso bianconero?
R. Continuo a essere freddino. Ho passato troppi anni in sonno a causa di Luciano Moggi. Prima ero un tifoso molto acceso. Poi, dal 1995, da quando lui è arrivato alla Juve, mi sono raffreddato. Sapevo chi era Luciano Moggi, lo sapevo io e lo sapeva la Juve. Ora la Juve non mi scalda più il cuore. Vedrò la partita. E, certo, se facciamo un gol a Madrid
D. Però, anche prima del 1995, non è che la Juve fosse trattata male dagli arbitri
MASSIMO MORATTI E LUCIANO MOGGI
R. Prima c'era la cosiddetta sudditanza psicologica degli arbitri nei confronti di tutte le grandi, Juve, Inter, Milan, Roma, il Napoli di Maradona. Poi solo Juve e, ogni tanto, il Milan, che però aveva competenza ridotta ai guardalinee.
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