DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Antonello Piroso per La Verità
Nel film Il Divo di Paolo Sorrentino c' è un intenso dialogo tra Giulio Andreotti-Toni Servillo e Eugenio Scalfari-Giulio Bosetti, in cui quest' ultimo martella l' interlocutore con una serie di domande che iniziano tutte invariabilmente con «È un caso, presidente, che...?».
Lo stesso interrogativo @nonleggerlo, blogger noto non solo nel circo autoreferenziale di noi pennivendoli (tiene da anni una rassegna stampa sul sito dell' Espresso, lo Stupidario, 25 frasi tra le più stravaganti della settimana, messe in rete il venerdì), l' ha in sostanza rivolto pubblicamente via Twitter, evidenziatore alla mano, al direttore del Fatto quotidiano, Marco Travaglio.
Questo il suo j' accuse: «Sono felice tu legga e attinga ogni settimana dalla mia rubrica sul sito dell' Espresso, ma così mi sembra un po' troppo. Un conto è trovare le dichiarazioni belle-pronte-impacchettate e limitarsi ad un copia&incolla.
Un conto lavorarci una settimana setacciando rassegna stampa, trasmissioni tv, libri e trashume vario, per poi trascriverle e adattarle alla rubrica. Essù».
Non è la prima volta che Ma mi faccia il piacere, l' appuntamento travagliesco del lunedì, ha l' identica ispirazione, diciamo così, dello Stupidario del venerdì precedente.
Da una nostra verifica, già nel maggio 2015 si rinvengono analoghe «casualità».
Certo, si può obiettare: una frase è una frase, la può leggere o trovare chiunque. Vero.
Però se il cuore di un intervento è proprio «il meglio del peggio della settimana», e quelle frasi sono spesso identiche perfino nei puntini di sospensione e nei tagli, c' è di che rimanere stupiti per la reiterata, felice congiuntura astrale.
Che però fa finire sul banco degli imputati chi, Travaglio, dell' ergersi a giudice degli scivoloni e delle paraculate dei colleghi ha fatto una missione per conto di Dio.
Travaglio non è comunque il primo a essere sorpreso a citare in differita, ossia dopo, e non prima, la pubblicazione dello Stupidario.
Nel 2011 il «caso» fu avverso a Massimo Gramellini, ora vicedirettore del Corriere della Sera, che si trovò a scrivere, nella sua rubrica Buongiorno sulla Stampa, del politicante Antonio Razzi riportandone alcune frasi...richiamate pari pari da @nonleggerlo il giorno prima.
Solo che il blogger citava le fonti «linkandole», cioè rinviando il lettore là dove le affermazioni di Razzi erano state prese: la sezione video di Repubblica, il blog sullo stesso sito del collega Antonello Caporale (poi passato al Fatto), il sito del Tg3.
Gramellini invece riportava i virgolettati con l' aggravante non solo di non menzionare @nonleggerlo ma neppure le fonti secondarie.
Generando così la sgradevole impressione di aver tagliato per i campi, ovvero, rieccheggiando @nonleggerlo, di essere ricorso pigramente «ad un copia&incolla».
Peraltro Gramellini finirà due anni dopo, 2013, al centro di un' altra polemicuccia.
Sempre nel Buongiorno sulla Stampa, riferì di una storia toccante ambientata in un tram.
Incipit: «Il tram è il 13, l' orario le 18.05 del 21.10.2013...».
Peccato che la vicenda fosse stata già narrata da una ragazza in precedenza, e dal di lei padre spedita alla rubrica delle lettere della Stampa, senza però specificare che il racconto non era inedito, perché la figlia Marta l' aveva infatti già postato su Facebook.
Incipit: «3 ottobre Torino.
Tram 13. Ore 18.05...».
Gramellini, gliene va dato atto, fece ammenda sul giornale: «Di solito, pur rielaborando gli spunti che ricevo, cito sempre la fonte originaria.
Martedì non ho scritto il nome di Marta perché, visto l' argomento, non mi sembrava fondamentale. Ho sbagliato.
Sulla mia buona fede credo però che parlino gli archivi del Buongiorno, dove troverete decine di storie raccolte con il contributo dichiarato dei lettori. Ringrazio Marta per le belle parole che ha avuto per me sulla sua pagina Facebook.
E mi scuso ancora con lei per la mancata citazione».
Certo, poi quelli di «Buc-Buongiorno un cazzo«, la pagina Facebook di quanti, non avendo di meglio da fare, si sono definiti «Gruppo culturale di resistenza a Gramellini e al gramellinismo», avranno avuto buon gioco a sostenere che se non se ne fossero accorti loro, del «caso», chissà se Gramellini avrebbe fatto coming out sul suo peccato di omissione, ma così non se esce più.
E difatti, pochi giorni dopo, un altro blogger dell' Espresso, Dario Salvelli, scriverà che l' emozionante episodio narrato da Marta, ovvero la storia del tram, gli ricordava «un' opera del teatro dell' assurdo di Jean Tardieu, Les amants du metro, Gli amanti del metrò, con la scena in un vagone...».
E che dire di «webete», epiteto che Enrico Mentana ha rivolto ai frequentatori più ottusi della Rete?
Per come lo conosco, è farina del suo sacco, spara battute appena può (cui talvolta ride solo lui, per poi magari non ridere, ma vai a sapere se è vero, a quelle di Maurizio Crozza quando lo imita).
Però c' è un però. «Una bellissima trovata, ma non è una parola nuova», annotò nell' agosto 2016 Andrea Nepori sul sito della Stampa, chiamando in causa Massimo Manca, professore di lingua e letteratura latina all' università di Torino, che aveva immediatamente segnalato la circostanza su Facebook: «La maggior parte di voi non sa - quasi sicuramente non lo sa neanche Mentana - che in realtà la parola esisteva già nel gergo di Usenet, roba di vent' anni fa. Nel dizionarietto curato da Maurizio Codogno si trova addirittura il suo creatore, l' utente Ginzo».
Precisazione che, chissà perché, ha suscitato le ire di Repubblica, per la firma di Massimo Arcangeli: «Il solito perfettino, per ridimensionare l' attribuzione della paternità del conio a Mentana, ha fatto ricicciare dal Web una lontana attestazione: la presenza di webete in un dizionarietto di telematichese degli anni Novanta. Un anonimo repertorio, ignoto anche agli specialisti, che il giornalista poteva difficilmente conoscere».
E quindi?
«Una rondine non fa primavera. Per riconoscere a Tizio o a Caio il merito di aver creato un neologismo non basta una comparsata, una prima (o una seconda) fugace apparizione sulla scena di una lingua; serve un seguito. Nel 2016 webete, per milioni di italiani e di italiane, è suonato come nuovo. Tanto basta. Con buona pace dei soliti cultori di operazioni di filologia spicciola».
Ma anche, aggiungo io, dei cultori del principio del copyright.
Parafrasando l' Alberto Sordi-Marchese del Grillo: «Loro sono loro, e voi, perfettini, non siete un c...».
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