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Nei talk show politici che ha ripreso a bazzicare con una certa frequenza, Paolino Mieli si presenta ancora nei sottopancia titolati come presidente dell’Rcs Libri. Una poltrona traballante, la sua, dopo il passaggio dell’ex casa editrice Rizzoli alla rivale Mondadori. Nel frattempo Mieli è tornato sulle pagine del Corriere nelle vesti di editorialista senza smettere mai quelle di storico “senza storia” nelle pagine culturali. Ogni settima il mattone-articolessa è dunque servito ai poveri lettori (residuali) del giornale dall’unico erede del pittoresco tuttologo televisivo d’antan, Alessandro Cutolo.
MOIRA DE ROBILANT E PAOLO MIELI
Ma le sue apparizioni in video, a ben guardare, non hanno nulla del casuale. L’ex direttore del Corrierone stavolta si è voluto ritagliare il ruolo di ambasciatore ombra del premier cazzaro Renzi. Un endorsement, ovviamente, ben travestito rispetto all’abbraccio (mortale) con Romano Prodi ai tempi della sua seconda direzione in via Solferino.
Nel suo nuovo ruolo, però, il furbo Paolino non cade nella trappola di apparire un fiancheggiatore del capo del governo. Al contrario. Il nostro Mielik, sfoderando il suo faccione a forma di salvadanaio, è sempre accorto nell’aggirare l’ostacolo (polemico) puntando a mettere a nudo soltanto le debolezze degli avversari interni (e esterni) del piccolo Ceasescu di Rignano sull’Arno.
Da Lilli Gruber a “Otto ½”, ad esempio, Mieli si è mostrato addirittura preoccupato per i fuoriusciti del Pd che alle prossime elezioni rischierebbero con la neonata Sinistra italiana “un bagno di sangue”. Ai suoi interlocutori in studio, il giornalista Antonio Padellaro e l’on. Alfredo D’Attorre, è mancato poco che scoppiassero a ridere nell’assistere a quella sceneggiata mielesca.
Del resto, basta leggere il saggio di Richard Stengel, “Il manuale del leccaculo” (Fazi Editore), per capire l’agire da paraculo di Paolino in televisione (e fuori). “Recentemente le lusinghe sono diventate più coperte, meglio occultate”, scrive l’ex direttore del “Time” nonché sottosegretario agli affari pubblici nel gabinetto Obama. Per poi aggiungere:” Non ci sono più lusinghe dirette al bersaglio, ma oblique piaggerie, che giungono a segno in modo indiretto. Siamo diventati – conclude Stengel - più sottili, stiamo attenti a non farci scoprire (…) Non vogliamo sembrare troppo seri”.
Insomma, l’adulazione oggi è “un elogio strategico”, una sorta di “coltello a due lame”, che Mieli sembra maneggiare abilmente, per dire una cosa mentre in realtà se ne dice un’altra. E con la piaggeria si promuove anche “l’interesse personale cercando allo stesso modo di occultarlo”.
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