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Pierachille Dolfini per Avvenire
A Parma dicono che «Giuseppe Verdi funziona sempre». Che funziona nella versione superclassica, con una Jerusalem tra pareti di roccia e proiezioni a evocare i luoghi santi. Che funziona immaginando una Traviata ambientata in una casa d' aste. O trasportando Falstaff nell' Inghilterra di oggi e rileggendolo, con ritmi perfetti da commedia teatrale, in chiave punk.
E che funziona anche con lo Stiffelio in piedi, quello realizzato da Grahm Vick al Teatro Farnese: nella platea vuota va in scena un' opera in stereofonia con il pubblico immerso nell' azione, libero di girare, in piedi appunto, tra i cantanti e i coristi, spettatore, ma allo stesso tempo parte dello spettacolo.
Anche se quella che può essere una vera rivoluzione nel modo di fruire l' opera, rischia di essere messa in ombra dalla provocazione (che sicuramente qualcuno cavalcherà) scelta dal regista britannico per attualizzare la vicenda del pastore di una setta protestante integralista che perdona la moglie adultera, quella, cioè, di uno Stiffelio tra le Sentinelle in piedi.
La riprova, per vedere se davvero «Giuseppe Verdi funziona sempre», da stasera a Parma. Con Jerusalem si apre l' edizione 2017 del Festival Verdi, rassegna monografica dedicata al compositore di casa, ventiquattro giorni di abbuffata verdiana per i melomani, ma anche momento di riflessione su cosa significa mettere in scena oggi Verdi. Riflessione che si fa sul campo. O meglio, sul palco. Quello del Teatro Regio dove il regista Hugo De Ana ha costruito una macchina scenica imponente per Jerusalem, rifacimento francese de I lombardi alla prima crociata. «Non ne ho fatto una trasposizione in epoca contemporanea, sono stato fedele ai luoghi dell' azione, creando sul palco spazi dalla forte carica simbolica» racconta il regista argentino convinto che «il mio compito sia quello di far arrivare una storia nota in modo sempre nuovo, ma rispettando la musica e l' autore».
Una visione sicuramente nuova è quella che Andrea Bernard offre di Traviata che debutta domani al Teatro Verdi di Busseto. «L' idea è quella di leggere l' opera attraverso gli occhi dell' uomo di oggi, così come cercò di fare Verdi con i suoi contemporanei prima che la censura intervenisse. Ho letto l' amore tra Alfredo e Violetta come un atto egoistico, una mercificazione dei sentimenti».
Da qui l' idea del registra trentenne di Bolzano di ambientare l' opera in una contemporanea casa d' asta «luogo di potere, scambio, vana ambizione e desiderio» spiega Bernard che ha disegnato una scena asettica, quasi per dimostrare la sua tesi come in un esperimento di laboratorio.
Perché «Verdi si presta a una ricerca e a una sperimentazione continua» dice Jacopo Spirei, toscano, classe 1974, regista del Falstaff in versione punk in scena da domenica al Regio. Un pub londinese è il quartier generale del vecchio sir John che Roberto De Candia disegna umanissimo. Le villette di Nottingh Hill il teatro della beffa ordita dalle comari di Windsor, un' Alice leopardata, una Meg biondo platino, una Quickly in giubbotto di pelle e una Nannetta metallara.
«Verdi con le sue partiture nelle quali parla con codici contemporanei ci sfida continuamente, ci spinge a interrogarci su noi stessi.
Per questo dovremmo trattarlo come gli inglesi trattano Shakespeare, senza aver paura di farlo dialogare con l' attualità» dice Spirei che ha voluto raccontare la storia di Falstaff «con meno filtri possibili e assecondando lo sguardo ironico messo da Verdi ». Che, interviene il direttore d' orchestra Riccardo Frizza, «ha messo nella sua ultima partitura tutti i colori della vita, raccontando la vicenda di sir John con uno humor venato di tristezza». Una partitura complessa da dirigere e da cantare, spiega Frizza nominato proprio ieri direttore musicale del festival Donizetti opera di Bergamo. «Ma Verdi detta i tempi perfetti della commedia. Basta seguirli e il gioco è fatto».
Un gioco. Come può essere quello dell' opera, dove, cantava Lucio Dalla, «ogni dramma è un falso». Anche se questa convinzione sembra vacillare entrando al Farnese sulle note della Sinfonia di Stiffelio. Perché ti trovi faccia a faccia con i protagonisti dell' opera.
Stiffelio entra tra il pubblico con una valigia, ti sfiora. La moglie Lina lo aspetta seduta sul suo letto. Stankar culla una bambola e piange. Senti i loro respiri. Ti sembra di respirare le loro paure. «Ho voluto portare gli spettatori dentro l' azione e dentro la musica» dice Graham Vick che ha costruito uno spettacolo dove l' azione avviene su pedane in continuo movimento (il pensiero va a Orlando furioso e Infinities di Luca Ronconi), dove il coro canta in mezzo al pubblico.
«Ho voluto uno Stiffelio contemporaneo a noi perché Verdi lo voleva contemporaneo a lui». E qui sta il nodo problematico con la scelta di Vick di forzare la mano ambientando la vicenda del pastore di una setta protestante tra i gruppi di cattolici che manifestano in difesa della famiglia e della vita. Ne esce una critica feroce. Che quasi rischia di far passare in secondo piano la grande lezione di Verdi, quella di Stiffelio che perdona la moglie adultera. Lezione che è la stessa che quotidianamente Papa Francesco ripete invocando misericordia. E che ci dice che «Giuseppe Verdi funziona sempre».
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