GUARDA QUI LA VIDEO-INCHIESTA DI MILENA GABANELLI SULLE PENSIONI
Estratto dell’articolo di Francesco Tortora e Milena Gabanelli per il “Corriere della Sera”
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Vuoi vivere a lungo e in salute? Non smettere mai di lavorare! Detta così è un po’ brutale, ma gli studi scientifici dimostrano che ritardare il pensionamento rallenta il declino cognitivo e consente di sfuggire all’isolamento sociale.
La ricerca più esaustiva è stata svolta su un campione di 83 mila persone e pubblicata sulla rivista «CDC Preventing Chronic Disease»: gli over 65 che lavorano hanno tre volte più probabilità di stare meglio fisicamente rispetto a chi è inattivo e il 50% di probabilità in meno di contrarre patologie serie, come cancro o malattie cardiache.
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Dunque, escludendo i lavori usuranti, quando si entra in questa fascia di età sarebbe saggio pensarci due volte prima di abbandonare definitivamente il proprio mestiere, senza averne un altro in prospettiva.
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A guardare i numeri noi italiani stiamo già bene così: nel 2023 l’aspettativa media di vita è di 84,2 anni (86,1 per le donne e 82,1 per gli uomini). Tra i grandi Paesi solo il Giappone fa meglio, ma come vedremo più avanti le differenze sono sostanziali. Dai dati Ocse mediamente gli italiani trascorrono 24 anni in pensione, e da un’analisi di Bloomberg tra i 16 e i 18 anni sono trascorsi in buona salute. Una lunga vita è un dato positivo e allo stesso tempo una sfida.
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L’Italia è infatti il Paese più anziano d’Europa (età media 48 anni contro i 44,4 della Ue). Gli over 65 hanno superato i 14 milioni (il 24% dell’intera popolazione) e secondo le proiezioni Istat nel 2050 diventeranno 20 milioni (34,9%). Come conservare l’attuale tenore di vita ed evitare aumenti insostenibili della spesa sociale? Tra le strategie più innovative adottate negli ultimi anni da Paesi che ci assomigliano demograficamente ci sono il contrasto alle misure che incentivano l’uscita anticipata dal mercato del lavoro (vedi Quota 100-103) e la promozione dell’occupazione degli over 65.
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La riforma Fornero del 2011 prevede che l’età standard per andare in pensione sia 67 anni, ma grazie alle varie norme sull’uscita anticipata l’età effettiva resta tra i 62 e i 63 anni. I dipendenti pubblici che hanno maturato i diritti alla pensione devono obbligatoriamente uscire a 65 anni e solo alcune limitate categorie professionali (magistrati, medici, docenti) possono posticipare l’età limite a 70 anni.
Nel privato, invece, in accordo con l’azienda, si può restare al lavoro fino a 71 anni. Chi decide di posticipare la pensione deve rinunciare all’assegno, ma al momento dell’uscita ne incasserà uno più corposo non solo grazie all’aumento degli anni di contribuzione, ma anche perché si è elevato il coefficiente di trasformazione che determina l’ammontare dell’assegno.
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A conti fatti: una persona che nel 2023 esce dal lavoro a 65 anni e che ha accumulato 300 mila euro di contributi beneficerà di una pensione annuale di 16.056 euro. Se però va in pensione a 70 anni, con 350 mila euro di contributi avrà una pensione di 22.382 euro.
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Coloro che scelgono «l’invecchiamento attivo» sono di solito uomini (78,4%), vivono al Nord (65%) e svolgono un lavoro indipendente (86,3%). Molto bassa invece è la quota dei lavoratori dipendenti (13,7%), fra le ragioni il fatto che il cumulo dei redditi da lavoro e da pensione comporta una tassazione più alta, mentre gli autonomi possono applicare la flat tax.
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Negli ultimi dieci anni gli over 65 attivi in Italia sono quasi raddoppiati, passando da 372 mila a 705 mila (il numero include chi incassa già la pensione e chi no), ma rappresentano solo il 5,1%, mentre la media Ocse è del 15%. In cima alla lista ci sono sia i Paesi più longevi e anziani come Giappone e Corea del Sud che impiegano rispettivamente il 25,1% e il 34,9% degli over 65, sia Paesi relativamente giovani come Stati Uniti e Australia con il 18,9% e il 14,7%.
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Il Giappone è il Paese con il maggior numero di over 65 al mondo: circa il 30% della popolazione. L’età per andare in pensione è 65 anni, ma già dal 2019 il governo ha invitato le grandi aziende a trattenere in organico anche gli impiegati settantenni. Secondo una ricerca del 2022, su 230 mila aziende con più di 21 dipendenti, almeno il 25,6% ha seguito la raccomandazione.
In generale lo Stato offre agli over 65 che posticipano l’uscita dal mercato del lavoro un aumento mensile dello 0,7% sulla futura pensione. Significa che chi ritarda l’addio al lavoro di 5 anni vedrà l’assegno aumentare del 42%. Dopo i 70 anni, il pensionato lavoratore non verserà più i contributi.
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Negli Stati Uniti chi vuole restare dopo i 66 anni beneficia di un incremento annuo sulla pensione dell’8%. Inoltre, la legge federale «Age Discrimination in Employment Act» protegge i lavoratori dalle discriminazioni legate all’età. La Svezia è uno dei Paesi europei che già dagli anni ’90 ha iniziato a contrastare il pensionamento anticipato (nel 2023 si può richiedere a 63 anni, nel 2026 dai 64). Non esiste una norma che fissa l’età per la pensione, ma la maggior parte delle persone sceglie di ritirarsi a 65 anni. La Svezia è anche il Paese Ue con il tasso più alto di 70enni (10,8%) e 75enni (6,9%) che lavorano.
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Nel corso degli anni sono aumentati incentivi economici e benefit. Per esempio: gli autisti di bus che restano al lavoro fino a 70 anni hanno un aumento di stipendio e visite mediche annuali gratuite. Tolgono lavoro ai giovani? Non si è sempre detto che per far posto ai giovani bisognava mandare i lavoratori in pensione prima? Guardando le statistiche si direbbe il contrario: dove è maggiore l’occupazione degli over 65 è minore la disoccupazione giovanile. Ad esempio, in Giappone e Corea viaggia intorno al 4-8%, negli Usa si ferma al 7,5%, mentre dove l’occupazione anziana è marginale la percentuale dei giovani senza lavoro è a doppia cifra: 17% in Francia, 22% in Italia, 29% in Grecia e Spagna.
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Il dato certo è che l’invecchiamento della popolazione segnerà il mercato del lavoro e le politiche di welfare dei prossimi decenni. Considerate quindi tutte le ricadute positive e tutelando chi svolge lavori usuranti, non c’è nessuna ragione per non trattenere al lavoro gli over 65 che lo desiderano, offrendo smart working, part-time e orari flessibili, in un quadro di formazione e riqualificazione permanente, soprattutto tecnologica. Mentre i professionisti più qualificati andrebbero trattenuti il più a lungo possibile, proprio per trasmettere quel sapere che si matura solo con l’esperienza, e che invece va irrimediabilmente perduto.
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