DAGOREPORT: PD, PARTITO DISTOPICO – L’INTERVISTA DI FRANCESCHINI SU “REPUBBLICA” SI PUÒ…
Gianluca Paolucci e Francesco Spini per “La Stampa”
Donnet Caltagirone Del Vecchio
Se riusciranno a fare meglio di Philippe Donnet, lo si vedrà a fine gennaio, quando i soci privati delle Generali - Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio più la Fondazione Crt -, o meglio i loro candidati al vertice del Leone, contano di presentare il loro contropiano.
La squadra, assicurano, sta lavorando. La strategia vista ieri non li convince: «Tanto rumore per nulla», dice una fonte vicina al patto. E ancora: «Il mercato sta dando un primo commento», si fa notare guardando al +0,27% del titolo. Sul Leone la corsa comincia adesso. I pattisti studiano scatti in avanti ancora più decisi nel digitale, nell'asset management, nelle acquisizioni.
Il Financial Times però si schiera con Donnet e nella Lex Column scrive che «a meno che Del Vecchio e Caltagirone non possano suggerire acquisizioni dai forti ritorni, ha ragione a remunerare i soci. Gli investitori indipendenti dovrebbero sostenerlo». Intanto il patto si rafforza e sale al 15,67% dopo che Caltagirone è arriva al 7,9%. Mentre si prepara la battaglia di Trieste, le suggestioni guardano anche a Mediobanca.
Caltagirone e Del Vecchio non hanno mai perdonato all'ad Alberto Nagel, tra le altre cose, l'indisponibilità ad aprire un dialogo per la lista per Generali, riconducendo tutto al cda. Del Vecchio, in particolare, che ha già il 19%, ha sempre nel cassetto il progetto per fare di Mediobanca-Generali un colosso di natura europea, modello Essilux. Chi potrebbe però muovere su Piazzetta Cuccia? Del Vecchio da solo, o con una banca, magari estera? Le ipotesi sono molte, le difficoltà idem.
L'imprenditore ancora non avrebbe formalizzato - ma avrebbe attuato solo dei sondaggi - la richiesta alla Bce di salire fino al 24,9%, primo passo per andare oltre. Altro punto di domanda riguarda quanto sia coeso il patto sul Leone. I voti a favore del piano di Donnet dati da due consiglieri vicini ai soci privati come Paolo Di Benedetto (area Caltagirone) e Sabrina Pucci (che gravita in area Crt) secondo alcune ricostruzioni potrebbero avere motivazioni tecniche nell'ambito della costruzione della lista del cda. Ma in casa Crt, la situazione sarebbe complessa.
I conti si faranno il 21 dicembre, quando al tema Generali si dedicherà il consiglio di indirizzo della fondazione torinese. C'è una fronda interna ma quanto pesi è difficile dirlo. Di certo in Crt il clima non è proprio dei più sereni. Gli argomenti dei "frondisti" sono molti. Di modi e di metodi. Pesa la mancanza di collegialità nella decisione di aderire al Patto, intanto. E poi la redditività dell'investimento: quello in Generali dal 2016 ha reso poco meno di 100 milioni solo di dividendi.
Non è piaciuto inoltre il mancato coinvolgimento di altre Fondazioni nel Patto, coinvolgimento promesso al cda del 14 settembre scorso che ha deliberato l'adesione alla cordata Caltagirone-Del Vecchio e che finora non ha dato frutti. E, non ultimo, c'è pure il disappunto del Tesoro - che sulle fondazioni bancarie ha un potere di vigilanza e controllo - rispetto a una operazione tesa a cambiare la governance di un gruppo assicurativo quotato, non proprio coerente con la missione di una fondazione bancaria.
E che avrebbe avuto un peso nei silenzi di altri enti, che pure la Crt ha cercato di coinvolgere nel Patto. A favore dell'interventismo, resta un solo argomento: la speranza di poter avere un posto nel prossimo cda del Leone nel caso che i pattisti risultino vincenti. Argomento messo nero su bianco nel patto, nel passaggio in cui si fa riferimento alle «consultazioni» sulla composizione del prossimo cda.
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