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Andrea Robuschi per Dagospia
Tre giorni a contatto con la natura, ma non troppo. È finita ieri la seconda edizione del festival Terraforma, il raduno radical-natural, almeno nelle intenzioni degli organizzatori, che ha preso luogo nel parco di Villa Arconati di Bollate, alle porte di Milano.
Una splendida villa settecentesca, la vicinanza con Milano, un pubblico selezionato ed internazionale, c’erano tutte le premesse per un evento da sballo e così è stato. Poco importa se Terraforma si è trasformato da quello che voleva essere - una kermesse di sostenibilità e sperimentazione - nel solito delirio di pupille dilatate e corpi che si muovo al ritmo di elettronica.
L’atmosfera del giorno era rilassata come quella di un festival hippie: musica etnica, gente distesa nei prati e nelle tende dell’area campeggio, ma più ci si avvicinava alla notte più il lato “sintetico” del party iniziava a farsi sentire. La smania di scatenarsi era nell’aria e sabato sera alle 10, alla spettacolare performance di suoni e luci del collettivo Otolab, c’era già chi si lamentava di non essersi calato l’Mdma per godere appieno dell’esperienza pseudo-mistica dello spettacolo. Ma era solo l’inizio.
Entrati nel vivo della serata, Robert Lippok ha iniziato a martellare alla consolle e a quel punto non c’è più stato niente da fare: bottigliette d’acqua ovunque (con Mdma si può solo bere acqua), bicchieri abbandonati a terra e sui tavoli, il connubio con la natura era durato abbastanza, ora i ragazzi volevano solo ballare e sballare. D’altronde questo era il punto d’arrivo, dimostrare fino a quando la festa avrebbe retto senza ricorrere alle armi – chimiche - della città.
terraforma 2014
ruggero pietromarchi di terraforma
Da una parte i workshop sensoriali, il campeggio, le performance artistiche, dall’altro la spazzatura abbandonata sui tavoli, le prese multiple per ricaricare i cellulari – IPhone 6 – e la musica sparata a cannone. Che cosa voleva il pubblico di Terraforma? La sensazione di libertà e comunione con la natura ma senza rinunciare alla connessione internet e al barista pronto a serviti il prossimo Moscow Mule. Un’ondata di hipster e radical con barbe, occhiali e cappellini compravano i coin (la moneta del festival) strisciando carte di credito “black” e bevendo lo champagne che si erano portati nella busta di plastica.
Il festival ha compiuto egregiamente la sua missione. La seconda edizione è riuscita, nonostante previsioni meteo infami che rischiavano di mandare tutto all’aria, grazie ad un’organizzazione ottima e sponsor di alto livello tra cui Carhartt, Feltrinelli, il Comune di Bollate, oltre a Borotalco e Autan che hanno fornito gratuitamente i loro prodotti per difendersi dalla vita da camping.
L’unico risentimento è che una parte del budget sarà spesa per ripulire tutto dopo che, nel down di una domenica mattina di pioggia, i leoni del sabato sera hanno abbandonato il cadavere infangato e calpestato del parco di Villa Arconati senza neanche dire grazie.
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