Francesco Cevasco per il “Corriere della Sera”
«E tuttavia quel dipinto, Il sogno di Achille , lo turbò profondamente, perché Achille sognava Patroclo, la persona a lui più cara, che non c' era più, così come lui sognava le persone più amate, che non c' erano più. Con quelle persone Luigi, come Achille, parlava».
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Luigi è Gigi, Gigi Riva, Giggirrivva, Rombo di Tuono. Da quando lo ha conosciuto, in quel dipinto si è sempre specchiato. Un potente guerriero ma anche una malinconica figura nuda e fragile avvinghiata a una palma, con l' elmo in testa ma con il corpo quasi adagiato sulla riva di un mare che si apre sui misteriosi simboli di un futuro indecifrabile. Il sogno di Achille è il titolo del quadro di Alberto Savinio e anche del romanzo di Carlo Vulpio (edito da Chiarelettere, in libreria in questi giorni). Romanzo, non biografia. Il racconto di un' ira che non si placherà mai nemmeno negli anni di una vita che ha conosciuto anche successo, fama e amore restituito.
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Come Achille anche Gigi sognava e parlava con le persone che non c' erano più, che la vita gli aveva strappato via quando non era ancora il tempo giusto, la mamma, il papà, una sorellina.
«La prima cosa che capì da bambino fu che erano poveri», comincia così il romanzo.
E poi ci sono anche tante altre cose che Luigi capì con il passare di un tempo spesso doloroso. La sofferenza che si prova quando ti tolgono la libertà; per il semplice motivo che sei povero e «devi» andare in collegio.
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Tre volte c' è stato Luigi. E tre volte è «evaso». E poi la libertà se l' è conquistata grazie anche al dono - come per il suo amato Achille - che una divinità, nel suo caso Eupalla, gli ha soffiato nel corpo. Quel piede sinistro con cui sfidava le leggi balistiche e la legge di gravità. Anche di mani ne aveva una sola, la sinistra ovviamente, e la usava per scrivere sfidando la legge delle suore: quella è la mano del diavolo, se non cambi farai una brutta fine.
Quando si dice «un signore»: dei tormenti della sua infanzia (e anche di quelli da adulto) non ha mai fatto un piagnisteo. Le sue notti insonni, assediato dai fantasmi del passato, le ha sempre tenute per sé. Dei suoi guai professionali - un paio di fratture alle gambe, un tendine che vola via dal muscolo che deve proteggere - ha dovuto parlarne perché erano lì: sotto gli occhi di tutti. Sembrava quasi chiedere scusa ai tifosi che lo amavano se gli era capitato quell' incidente, e se ha mai odiato il killer che gli aveva spaccato una gamba - come avrebbe fatto qualsiasi comune mortale, ma anche un semidio come lui - quell' odio lo ha raccontato solo a sé stesso.
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È ovvio che soldi ne ha guadagnati tanti. Ma non quanti avrebbe potuto. Achille non è avido, è ricco di gloria e d' ira per chi se la merita. Racconta Vulpio: «Accadde allora, quando Gigi Riva era al culmine della sua attività agonistica. In quegli anni Franco Zeffirelli si stava preparando a girare il film Fratello sole, sorella luna e pensò, anzi era convinto, che il volto migliore per interpretare Francesco d' Assisi sarebbe stato quello di Gigi Riva. Voleva scritturarlo anche lui a tutti i costi, come la Juventus, e la produzione del film arrivò a offrire a Gigi 400 milioni di lire. Gigi Riva rifiutò anche quei soldi e, ancora una volta, non per albagia ma per l' esatto contrario».
La citazione della Juventus non è casuale: la società di Torino aveva proposto a Riva di moltiplicare per cinque volte il suo stipendio al Cagliari. Dando per scontato ciò che scontato non era. Tanto che, come sappiamo, Riva restò a Cagliari per tutta la sua vita di calciatore; e anche adesso.
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Ma perché? Uno che veniva da Leggiuno, un piccolo paese a due chilometri dalle rive del Lago Maggiore, un «polentone» nordico, un giovanotto che era arrivato in Sardegna nel 1963 con l' idea di tornarsene indietro il prima possibile, un diciannovenne che una sera, «era una delle prime in cui usciva con l' allenatore, alcuni dirigenti e compagni di squadra, si soffermò a guardare l' orizzonte, con il mare calmo, la luna luminosa e il cielo pieno di stelle. Le luci che vide brillare in lontananza gli sembravano provenire dall' altra parte del mare, dal litorale opposto.
Come fosse la cosa più ovvia, senza pensarci un istante, esclamò: "Ma quella è l' Africa! Qui siamo a due passi dall' Africa!". "Ma come" disse l' allenatore Arturo "Sandokan" Silvestri, rivolgendosi con un largo sorriso ai dirigenti, sardi, offesi "non conosci la geografia? Quelle luci che si vedono laggiù non sono la Tunisia, ma l' illuminazione di una raffineria di petrolio che stanno costruendo a Sarroch, nel golfo degli Angeli, che dista una ventina di chilometri. L' Africa è lontana"». E calcò la voce sulla parola «lontana».
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Poi, per la Sardegna, fu vero amore. Come quello per Gianna: «Riva a Cagliari si era innamorato di Gianna. E lei di lui. Lei però era sposata e aveva un bambino. Quindi per la legge italiana era un' adultera, come Giulia Occhini, la "dama bianca" di Coppi. Il marito la denunciò e venne aperto un procedimento penale. Di nuovo, tornava a trovarlo Alberto Savinio. Questa volta non con il dipinto, ma con un racconto, Achille innamorato , in cui Savinio immagina l' eroe in lacrime che spacca la montagna con un singhiozzo al pensiero di Ifigenia». Comunque la storia finì benissimo e Gigi e Gianna vissero felici e contenti.
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Ci sono tante altre cose nel libro di Vulpio compreso uno sguardo che corre parallelo agli anni della vita di Riva, uno sguardo attento alle vicende storiche, politiche e sociali che accompagnano la sua carriera. Il racconto si chiude con una frase di Gigi che comincia così: «Ho avuto tutto. Il calcio, la gente, il popolo sardo mi hanno dato tutto. Ma ho un rimpianto...».
E questa volta il sogno di Achille, il sogno di Gigi, non si potrà avverare.
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