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Luigi Grassia per "la Stampa"
La pandemia che volge alla fine si lascia dietro una coda avvelenata per chi riprende a viaggiare: l' organizzazione Assoutenti pubblica un dettagliato dossier in cui documenta come le compagnie aeree abbiano trasformato da gratuiti a onerosi molti servizi accessori, e anche alcuni dei servizi finora inclusi nel pacchetto complessivo ma adesso scorporati e resi a pagamento. Questo rende opaco il prezzo finale dei biglietti, perché i raffronti diventano difficili o impossibili se si scopre solo poco per volta quali e quanti siano i balzelli aggiuntivi.
L' organizzazione segnala il problema all' Antitrust (cioè al garante del mercato) e avanza un sospetto: dietro alla raffica dei rincari non ci sarebbe solo il desiderio delle compagnie di recuperare un po' di soldi dopo le enormi perdite dovute al coronavirus, ma anche la tentazione di «sfruttare le paure dei viaggiatori per monetizzare il Covid e fare cassa».
Anche a prescindere dal coronavirus, il fenomeno delle voci di costo aggiuntive montava da anni, con le «low cost» a fare da battistrada; la novità è che adesso la tendenza si è generalizzata, in tutto il mondo, alle compagnie aeree tradizionali, come illustra un rapporto di IdeaWorks-CarTrawler pubblicato pochi giorni fa (la definizione inglese per le voci extra è «ancillary revenue»).
L' Antitrust italiano conferma a La Stampa che il problema è serio e sarà probabilmente oggetto di una prossima istruttoria; del resto il Garante è stato molto vigile nel reprimere i comportamenti scorretti delle compagnie aeree legati al Covid, come ad esempio i voli abusivamente venduti e annullati con la scusa della pandemia e senza altro rimborso che dei voucher.
Partiamo dalla denuncia di Assoutenti. «Comparando i prezzi dei biglietti sui siti dei principali vettori - dice il presidente Furio Tuzzi - si scopre che il costo di base è in linea con quelli degli scorsi anni», e questo in prima battuta è positivo, «però nel frattempo molti servizi legati al trasporto aereo, dagli imbarchi ai gate al bagaglio a mano, dai cibi e bevande a bordo al parcheggio auto, sono stati resi a pagamento, applicando tariffe che in casi-limite arrivano a triplicare il costo del singolo volo».
Prendiamo la scelta del posto: «Con le compagnie tradizionali fino a poco tempo fa era gratuita, mentre adesso è a pagamento, e più il posto è vicino alla porta di uscita degli aerei più costa, sfruttando la paura di assembramenti e l' esigenza dei passeggeri di stare il minor tempo possibile a bordo. Non basta: in fase di acquisto dei biglietti, le società offrono con enfasi costose assicurazioni di viaggio legate al Covid, per coprire le spese mediche e di rimpatrio in caso di contagio e permettere la cancellazione delle prenotazioni. Questo è monetizzare la paura».
Il citato studio di IdeaWorks-CarTrawler segnala che il campione mondiale dei balzelli extra è (per fortuna) abbastanza lontano dal raggio d' azione abituale dei viaggiatori italiani: si tratta della compagnia aerea messicana Viva Aerobus, che ottiene dagli «ancillary revenue» quasi metà dei suoi introiti (il 47,8%). Ma anche alcuni vettori ben noti in Italia risultano coinvolti nel fenomeno: per l' ungherese Wizz Air la quota è 41,1%, per la spagnola Volotea del 34,8%, per l' irlandese Ryanair del 31,7% e per la britannica easyJet del 20,5%.
Però, attenzione, questi numeri, pur se diffusi da un rapporto datato giugno 2021, si riferiscono al 2018: nel frattempo le compagnie «low cost» su sono date ulteriormente da fare (già un anno più tardi, nel 2019, Wizz Air è salita al 45,4% e Ryanair al 34,5%) e quelle tradizionali hanno colmato una parte del divario.
Sul fenomeno, gli analisti del settore aeronautico hanno opinioni differenti, anche se si tratta, più che altro, di una diversità di accenti (è ovvio che la condanna è unanime): Gregory Alegi, già docente di gestione delle compagnie aeree, sottolinea che almeno da alcuni degli «ancillary revenue» ci si può difendere: «Nessuno è obbligato a scegliere un posto a pagamento né a sottoscrivere una polizza di assicurazione», mentre Antonio Bordoni, professore della stessa materia, dice che «lo spacchettamento delle voci di spesa è un problema serio, c' è da sperare che l' Antitrust intervenga con energia».
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