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    AUDITEL, CHE PAPOCCHIO! ANTONELLO PIROSO: “TRA LE TANTE BUFALE MEDIATICHE CHE CIRCOLANO C'È QUELLA CHE RUOTA INTORNO ALL'AUDITEL, METRO E MISURA DI TUTTE LE COSE TELEVISIVE. IL SUCCESSO E IL FALLIMENTO DI UN PROGRAMMA NON E’ COME CE LO RACCONTANO. ECCO PERCHE'...”


     
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    Antonello Piroso per “la Verità”

     

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    Tra le tante bufale mediatiche che circolano con regolare circolarità c'è quella che ruota intorno all'Auditel, metro e misura di tutte le cose televisive, spada di Damocle sulla testa di quanti lavorano nel e per il piccolo schermo, siano essi conduttori, autori, produttori, direttori (parlo con cognizione di causa, avendo rivestito tutti questi ruoli in commedia).

     

    Detta in linguaggio aulico, essa riguarda la cosiddetta «centralità del mezzo televisivo», espressione con cui in realtà ci si riferisce al grande bacino delle reti generaliste (le 7 sorelle: Rai1, Rai2, Rai3, rete4, Canale5, Italia1, La7) come certificato proprio dal sistema di rilevazione degli ascolti, strapotere che perdurerebbe nonostante l'irruzione di Sky, dei canali digitali quali i 7 «free to air» di Discovery Italia (Nove, Real Time, DMax, Giallo, Focus, K2 e Frisbee) e dell'offerta di film e serie tv in streaming, vedi alla voce Netflix.

     

    Per capire quanto però i telespettatori (che sono anche cittadini aventi diritto al voto, a meno che non siano iscritti al più grande partito italiano, quello dell'astensione: questa parentesi la spiegherò a breve) siano sempre meno inclini a genuflettersi davanti al totem delle 7 sorelle, basta ragionare, senza alcuna pretesa di scientificità, sui numeri offerti...proprio dall' Auditel!

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    Prendiamo una serata autunnale come quella di venerdì 4 novembre, e confrontiamo i dati relativi alla prima serata. Cominciamo con una semplice operazione aritmetica, sommiamo cioè il numero dei telespettatori che hanno guardato in media i prodotti offerti dalle 7 sorelle: abbiamo un totale di 15 milioni 201 mila persone.

     

    In dettaglio: Rai 1, Tale e quale presentato da Carlo Conti, 5 milioni 54 mila; Rai 2, film Attacco al potere, 1 milione 901 mila; Rai3, Amore criminale con Asia Argento, 731 mila; Canale 5, fiction Squadra antimafia 2 milioni 809 mila; Rete 4, Quarto grado con Gianluigi Nuzzi, 1 milione 446 mila; Italia 1, film L' alba del pianeta delle scimmie, 1 milione 460 mila; La7, Crozza nel Paese delle Meraviglie, 1 milione 800 mila precisi precisi.

     

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    Accantoniamo per un attimo queste cifre, e evochiamone altre. Secondo i dati Istat del bilancio demografico nazionale, al 31 dicembre 2015 risiedevano in Italia 60 milioni 665 persone, di cui - per la cronaca - più di 5 milioni straniere. Memorizzatelo, questo numero: in Italia siamo un po' più di 60 milioni.

     

    Gli aventi diritto al voto sono naturalmente meno. Al referendum sulle trivelle, per esempio, sono stati chiamati alle urne 50 milioni 786 mila 340 cittadini. Ricordatevi anche questo: un po' meno di 51 milioni. Ma proprio in quella occasione referendaria si è registrato il boom dell' astensione: ai seggi si sono infatti presentati 15 milioni 806 mila 788 italiani, pari al 32,15 degli aventi diritto, percentuale che scende al 31,18 tenendo conto del (non) voto dei nostri connazionali residenti all'estero.

     

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    Un po' meno di 16 milioni, pari...al pubblico della prima serata di Rai, Mediaset e La7. Tutto chiaro fino a qui? Prima considerazione: nel circuito autoreferenziale dei media, tutto è sempre straordinario, epico, memorabile, e il pubblico televisivo - quello delle 7 sorelle assunto come sineddoche, una parte per il tutto - si trasforma nell'universo di riferimento della politica, che a quella platea guarda con perenne ansia da prestazione.

     

    Sbagliando sotto diversi profili: da un lato, per esempio, regolamentando gli accessi con quel complesso di norme demenziale e cervellotico che va sotto il nome di «par condicio» (un sistema con cui il Parlamento, incapace di regolare l'oggettivo conflitto d' interesse di Silvio Berlusconi, ha scaricato sui giornalisti l'onere di risolverlo mutilando la loro autonomia e libertà di scelta); dall'altro, confondendo la popolarità con il consenso.

     

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    Com'è successo per esempio a Mario Monti quando era a Palazzo Chigi, cercando quindi di saturare tutti gli spazi televisivi disponibili ma ottenendo spesso risultati largamente inferiori alle attese, e qui si potrebbe ragionare - guardando al passato in attesa delle eventuali controprove future sull'impatto del presenzialismo tv di Matteo Renzi - sulle reiterate video-epifanie di Matteo Salvini.

     

    C'è poi una seconda considerazione, che riguarda più concretamente gli addetti ai lavori. Leggiamo gli ascolti di Rai1 e di Canale 5, tra le 7 sorelle le due più grandi. La serata è stata vinta da Tale e quale, show piacevole e onesto nelle premesse e nelle promesse mantenute, cioè fare intrattenimento con mestiere e garbo, senza sguaiatezze, con più di 5 milioni di telespettatori corrispondente a più del 23 per cento di share (essendo un terzo del totale di 15 milioni, la percentuale doveva essere del 33%: se così non è, se ne deve dedurre, con calcoli «naso metrici» e all' ingrosso, che in prima serata la platea tv comprensiva di offerta digitale e canali Sky è di circa 22 milioni di persone: il 23% è proprio 5 milioni 60 mila).

     

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    Bene: la serie tv Squadra Antimafia su Canale 5 totalizza uno share di poco inferiore (21,10%), ma le facce davanti allo schermo sono poco più della metà: 2 milioni 809 mila. Curioso, no? Ancora più curioso il dato tutto interno a Mediaset: il film su Italia1, L'alba del pianeta delle scimmie, raccoglie 1 milione 460 mila teste e fa il 5,89% di share. Quarto grado su Rete4 ne attira un filo meno, 1 milione 446 mila, ma fa il 7,24%.

     

    Se poi incrociamo questo dato con quello de La7, la cortina nebbiogena s'infittisce ancora di più: Crozza nel paese delle Meraviglie fa uno share inferiore, 6,90%, ma raggranella 1 milione 800 mila telespettatori, cioè oltre il 20% in più del competitor. Misteri gaudiosi dell'Auditel, verrebbe da dire, se non fosse che legittimano ogni tipo di interpretazione da parte di una cronaca e di una critica televisiva che talvolta appare disinformata, o peggio: disinformante.

     

    Ma soprattutto servono allo scopo di orientare le decisioni degli investitori pubblicitari, che peraltro hanno a disposizione strumenti più mirati e sofisticati, a cominciare dai dati Nielsen che «profilano» il telespettatore perfino in caso di visione «in differita».

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    Terza e ultima considerazione: fateci caso, ma ormai le tv segnalano gli ascolti solo in termini di share, evitando di citare il numero di teste. Il perchè è presto detto: più facile strillare «il nostro programma ha fatto il 10% per cento di share» se non si dice quanto è grande la «torta» in cui si è ritagliata tale fetta (di pubblico).

     

    E' quasi banale dirlo, ma il 15% di 5 milioni vale meno dell'8% di 10. A futura memoria segnatevi comunque questi numeri. 60 milioni gli abitanti in Italia, 51 i potenziali elettori, 22 l' intera platea tv di prima serata, poco meno di 16 milioni i votanti al referendum (alle Europee del 2014 furono però un po' meno di 29 milioni), 15 milioni i telespettatori in prima serata delle 7 sorelle generaliste, 5 milioni quelli di un programma di successo. Questo senza nulla togliere alla bravura o alla soddisfazione di tutti, ma riportando certi «bollettini della vittoria», e per converso taluni «necrologi» interessati, nei binari delle giuste proporzioni.

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