DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Massimo Gaggi per corriere.it
Donald Trump vuole la Groelandia e vorrebbe riprendersi il Canale di Panama (oltre a voler lasciare l'Organizzazione mondiale della Sanità «dal primo giorno», secondo quanto rivelato dal Financial Times).
Sembrerebbero le solite sparate per catturare l’attenzione in campagna elettorale. Ma la campagna è finita e le elezioni le ha vinte. Allora per capire bisogna passare al secondo registro della mentalità trumpiana: quella della politica estera come dealmaking.
Il caso Panama
Il caso di Panama è abbastanza chiaro: Trump accusa i panamensi di applicare tariffe troppo alte alle navi americane che transitano attraverso il canale e minaccia di chiedere il ritorno di questa gigantesca infrastruttura sotto controllo Usa, se il governo centroamericano non accetterà le sue richieste.
Giuridicamente non si vede come possa fare: il canale, in passato effettivamente governato «in condominio» dagli Stati Uniti, è passato sotto totale controllo di Panama con un trattato firmato ne 1970 da tutti e due gli Stati. Ma l’America è grande e potente e se lui è riuscito, nel suo primo mandato, a imporre a Messico e Canada la cancellazione del Nafta, un trattato di libero scambio che considerava svantaggioso per gli Usa sostituendolo con un accordo che penalizza molto di più i due vicini nordamericani, perché non provare a usare una certa dose di prepotenza col piccolo Stato panamense politicamente debole ed economicamente molto dipendente dagli Usa?
L'acquisto della Groenlandia
Anche nel caso della Groenlandia la sortita di Trump è meno estemporanea di quanto potrebbe sembrare: nominando il nuovo ambasciatore in Danimarca ha detto che vorrebbe comprare la gigantesca isola del grande Nord appartenente a questo piccolo e lontano Stato europeo. Niente di nuovo: Trump aveva avanzato la stessa richiesta durante il suo primo mandato e, davanti al diniego danese («l’isola non è in vendita») aveva cancellato la sua visita presidenziale a Copenhagen.
E non si tratta di una storia che comincia con Trump: a partire dal 1867, gli Stati Uniti hanno provato varie volte a comprare la Groenlandia, la più grande isola del mondo che non sia un continente. Un territorio che fa geograficamente parte del Nord America, anche se la sua minuscola popolazione (56 mila abitanti) ha legami storici con l’Europa. L’isola di ghiaccio ha ampia autonomia di governo, ma dipende dalle risorse finanziarie della Danimarca e, soprattutto, dell’Unione Europea, per la sua sopravvivenza e gli investimenti in infrastrutture.
Non ci vuole molto per capire l’interesse di Trump: a parte la posizione geostrategica nell’Artico, di fronte alla Siberia russa, la Groenlandia è ricca di oro, argento, rame e uranio e si ritiene che la sua piattaforma offshore nasconda gigantesche risorse petrolifere. Risorse fin qui sfruttate molto poco per carenza di infrastrutture e per preoccupazioni di tipo ambientale, visto che l’innalzamento delle temperature sta già avendo conseguenze disastrose nelle zone artiche.Ma, com’è ben noto, The Donald agli slogan cupi sugli effetti del global warming contrappone il suo «gioioso» drill baby drill. E pazienza se poi gli oceani divorano le coste e i mutamenti climatici sconvolgono il Pianeta.
Parlando di Groenlandia, e anche di Panama, va tenuto, però, presente anche un altro fattore: la Cina (anch’essa grande devastatrice del clima per via del suo impetuoso sviluppo industriale). Con le sue ambizioni planetarie Pechino, che sta investendo massicciamente in America Latina, in Africa e ha messo qualche testa di ponte anche in Europa, cerca da tempo di affacciarsi anche sull’Artico: per le sue risorse minerarie e perché, con lo scioglimento dei ghiacci, diventa una nuova via commerciale. La Cina ha già tentato di inserirsi nel gioco della Groenlandia offrendo piani d’investimento nell’isola. Essendo, poi, la «fabbrica del mondo» con navi che veicolano il suo export ovunque nel Pianeta, è verosimile che il gigante asiatico, sempre più presente anche nella parte centrale delle Americhe, stia cercando di esercitare la sua influenza pure su Panama.
Da www.ansa.it
Tedros Adhanom Ghebreyesus - oms
Il team per la transizione di Donald Trump sta spingendo per far uscire gli Stati Uniti dall'Organizzazione Mondiale della Sanità il primo giorno della nuova amministrazione.
Lo rivela il Financial Times.
Per gli esperti questo avrebbe un impatto "catastrofico" sulla salute globale perché eliminerebbe la principale fonte di finanziamenti dell'Oms danneggiando la sua capacità di rispondere alle crisi di sanità pubblica come la pandemia di coronavirus. Nel 2020, Trump ha avviato il processo per lasciare l'Oms accusando l'agenzia di essere sotto il controllo della Cina. Joe Biden ha poi ricucito i rapporti.
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