DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
Non che la preparazione fosse mancata. Per settimane gli emissari di Francia, Germania e Italia si erano incontrati per discutere un rilancio dell' Unione Europea nel caso in cui il referendum in Gran Bretagna avesse sancito la rottura. Tutti ripetevano che erano in gioco settant' anni di storia e soprattutto il futuro. Si era parlato di progetti sulle migrazioni o nella difesa, finanziabili in modo congiunto dai governi; da Berlino erano arrivati anche segnali favorevoli a passi avanti verso un' unione più politica di un nucleo di Paesi fondatori, insieme magari a Spagna o Portogallo.
Questo era prima che 17 milioni di britannici chiedessero di divorziare dalla Ue. Dopo, tutte le preoccupazioni e la preparazione sono come evaporate in poche ore. Ogni governo ha dato l'impressione di cercare di approfittare del caos della Brexit per avanzare in ordine sparso le proprie priorità particolari prima che gli altri potessero reagire. L'Italia è tornata a mettere sul tavolo un intervento pubblico sulle banche.
Il ministero delle Finanze di Berlino ha fatto circolare idee su come trasferire i poteri di vigilanza sui bilanci dalla Commissione Ue a una nuova, più inflessibile «autorità indipendente». La Francia ha dato l'impressione di schiacciarsi sulle posizioni della Germania - nelle quali non crede minimamente - sperando di ottenerne una tolleranza speciale per il proprio cronico malessere.
Soprattutto, è subito ripartito quello che sembra essere l'unico vero impegno comune di alcuni governi in Europa: dare addosso a Jean-Claude Juncker. Ultimi ad attaccare il presidente della Commissione Ue sono stati Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca. In una dichiarazione congiunta hanno proposto di riportare l' esecutivo di Bruxelles sotto il controllo degli Stati; i ministri degli Esteri di Varsavia e Praga, Witold Waszczykowsky e Lubomír Zaorálek, si sono spinti fino a chiedere le dimissioni di Juncker. Sanno che non sono i soli a cercare di demolirne la reputazione.
Il segnale della sua vulnerabilità viene da capitali più vaste delle loro: immediatamente dopo il referendum sulla Brexit, dal governo tedesco si è lasciato filtrare che la Commissione Ue avrebbe molte responsabilità per gli errori nel negoziato dell' autunno scorso con gli emissari di Londra sul referendum.
Juncker non fa sempre molto per difendersi. Il suo comportamento eccentrico a volte aiuta i suoi nemici a metterne in dubbio da lucidità. Quattro giorni fa all' Europarlamento davanti ai fotografi ha abbracciato Nigel Farage, il campione nazionalista inglese della Brexit, prima di chiedergli a muso duro nel dibattito: «Sei voluto uscire, allora perché sei qui?».
Ma proprio davanti agli eurodeputati Juncker ha anche seminato indizi su quelli che probabilmente sospetta come mandanti degli assalti politici alla sua persona. «Non sono né stanco, né malato come sostengono certi giornali tedeschi». Sapeva che menzionare i media della Germania poteva suonare strano e selettivo, dato che i dubbi più insistenti sulla sua salute erano stati espressi dalla testata americana Politico . Ma anche questo è un segnale. Tra Juncker e Angela Merkel, al posto della fiducia, ormai non resta che un cumulo di macerie politiche.
La cancelliera tedesca è in rotta di collisione con la Commissione Ue soprattutto su un punto: non ha intenzione di accelerare i negoziati per l' uscita di Londra, mentre Juncker da giorni ne sollecita l' avvio. Merkel lavora per sottrargliene la responsabilità, e fare ciò che di solito le riesce meglio: troncare, sopire, sedare le trattative, spostarne il cuore a dopo le elezioni tedesche dell' autunno 2017, sperando segretamente che Londra torni sui suoi passi.
Nel frattempo gli altri attori approfittano del disorientamento generale per regolare i propri conti con Juncker: Varsavia lo vuole far cacciare perché Bruxelles ha messo il governo polacco sotto procedura per le ripetute violazioni dello stato di diritto; Praga non ha mai digerito di essere stata messa da Juncker fra gli «europei a tempo pieno» quando si tratta di incassare i fondi Ue, ma «part-time» nella solidarietà sui rifugiati.
dijsselbloem tsipras merkel juncker schaeuble
Anche Wolfgang Schäuble, il ministro delle Finanze tedesco, vede una finestra di opportunità per strappare alla Commissione i poteri sui bilanci e per imprimere a tutti i governi una nuova sterzata verso l' austerità. Ognuno persegue la propria agenda particolare, in conflitto con quelle di tutti gli altri. Se questa è la risposta alla Brexit, il prossimo referendum dev' essere solo questione di tempo.
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