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Carlo Bonini per “la Repubblica”
Il generale di corpo d’armata Michele Adinolfi, 63 anni, Comandante in seconda della Guardia di Finanza, da due giorni balla una musica che non è nuova. Nel 2011, furono le intercettazioni dell’inchiesta P4 (in cui è stato indagato e archiviato nel dicembre di due anni fa) e dunque lo scontro tra l’allora sottosegretario Gianni Letta (che del generale è amico) e la coppia Tremonti-Milanese (convinti che il generale spiasse la vita privata dell’allora Ministro dell’Economia).
Ora, la faccenda ha a che fare con i suoi rapporti con il premier Matteo Renzi e il sottosegretario Luca Lotti. Telefonate intercettate dalla Procura di Napoli, un pranzo e una cena alla Taverna Flavia, a Roma, dove si evoca l’ombra di un ricatto a Giorgio Napolitano, si discute della «sorprendente» proroga a Comandante Generale della finanza di Saverio Capolupo, dei destini di Enrico Letta. «L’inchiesta P4 — dice Adinolfi — ha segnato la fine della mia carriera. E’ stato un dramma in cui sono rimasto stritolato da una guerra più grande di me e da cui sono uscito a testa alta. La storia di questi giorni, se non fosse per la sovraesposizione mediatica, è banale».
Banale?
«Sì. Banale».
Ha sentito Renzi?
«Mi ha detto di stare sereno ».
L’ultimo cui ha detto di stare sereno era Enrico Letta.
«Ma io lo sono davvero» .
Non sono proprio un bel leggere le trascrizioni delle sue conversazioni con Renzi, Lotti e le chiacchiere alla Taverna Flavia. Il 5 febbraio del 2014, in un pranzo alla Taverna Flavia con Dario Nardella (oggi sindaco di Firenze), Vincenzo Fortunato (ex capo di gabinetto di Tremonti) e il presidente dei medici sportivi Maurizio Casasco lei sostiene che «De Gennaro e Letta tengono per le palle Giorgio Napolitano per via del figlio Giulio» . Di che ricatto si tratta?
«Vorrei ascoltare l’audio di quella intercettazione. Perché sono convinto che quelle frasi, che sicuramente saranno state pronunciate, non siano mie. Io non conosco Giulio Napolitano e non avrei mai potuto permettermi di dire nulla del mio Presidente » .
Non trova anomalo che un generale della Finanza abbia una confidenza e una consuetudine con il Presidente del Consiglio quale quella che emerge dalle intercettazioni?
«Ho conosciuto Renzi e Lotti quando sono arrivato a Firenze nel 2011 come Comandante interregionale Toscana, Emilia, Marche. Erano i miei interlocutori istituzionali. E siamo diventati amici. Io sono un milanista malato come Lotti, di cui ho conosciuto la moglie e i genitori. E Renzi ci prendeva in giro dicendo che lui con noi non parlava di “calcio minore”. Renzi e Lotti erano il mio sindaco e il mio capo di gabinetto a Palazzo Vecchio. Non dovevo avere rapporti? Con chi avrei dovuto discutere per trovare spazi per una caserma della Finanza? E’ colpa mia se, nel 2014, il mio sindaco è diventato Presidente del Consiglio? » .
Lei è un alto ufficiale della Finanza e se dà amabilmente dello “stronzo” al suo vecchio amico sindaco e poi premier Renzi, si può pensare che la sua funzione di controllo sul potere esecutivo ne potrebbe risentire assai. Si chiama conflitto di interesse.
«Io rispondo dei miei atti. Non delle mie amicizie, perché respingo il teorema che sarebbero indizio o prova di coperture. Se qualcuno è in grado di dimostrare che io sia venuto meno ai miei doveri di ufficio nei confronti dei politici con cui nel tempo ho avuto necessariamente rapporti, sono pronto a pagare duramente».
Scrive la Procura di Napoli: «La rete relazionale che Adinolfi è riuscito a creare nel corso del tempo gli è funzionale a perseguire i propri interessi » .
«Ah sì? E cosa avrei ottenuto da Renzi? O cosa avrebbero ottenuto Renzi e Lotti da me? A Firenze, per dirne una, non ho mai seguito né voluto sapere alcunché dell’inchiesta sulla casa di Marco Carrai abitata da Renzi. E, lo giuro sui miei figli, né Renzi né Lotti mi hanno mai parlato di Carrai.
Quando poi, nel gennaio del 2014, mi lamentavo della proroga con sette mesi di anticipo di Capolupo a comandante generale, esprimendo una sorpresa che non era solo mia, per una decisione senza precedenti, non avevo nulla da chiedere. Rosicavo e basta. Nessuna trama. Lo sanno tutti che la mia carriera è finita nel 2011 con l’indagine P4. E quanto a Capolupo, che conosco da una vita, gli ho fatto leggere mesi fa l’sms con cui esprimevo sorpresa. Lui sa come la penso e questo non ci impedisce di lavorare insieme e stimarci» .
COMANDANTE CAPOLUPO
RENZI E LETTA ALL ASSEMBLEA NAZIONALE PD
Lei non aveva nulla da chiedere, ma si è parlato di lei come vicedirettore dell’Aisi, il servizio segreto interno. Perché in una cena, sempre alla Taverna Flavia del 17 gennaio 2014, con i generali della Finanza Vito Bardi (ora in pensione) e Giorgio Toschi dite “Sembriamo la carboneria”?
Adinolfi ride: «Dovrò chiedere a mia moglie e alle signore Bardi e Toschi che erano con noi» .
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