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DAGOREPORT
matteo renzi pier carlo padoan
I mercati non fanno testo, sono drogati dall’eccesso di liquidità e stanno graziando l’Italia Ma alla prima stretta, Roma rischia grosso perché il suo debito pubblico non è sostenibile. E’ questo quello che dicono di noi i ministri dell’economia europei, i governatori delle banche centrali e i cosiddetti “burocrati” della Commissione Ue. E l’allarme di ieri sull’Italia, alla quale sono richiesti “maggiori sforzi”, non poteva che arrivare dall’Eurogruppo (lo guida l’olandese Jeroen Dijsselbloem), visto che l’Ecofin è a guida italiana per via del semestre di turno.
La risposta del ministro Pier Carlo Padoan è stata che l’Europa non ci sta chiedendo una manovra aggiuntiva e in parte ha perfino ragione. L’Europa ci sta chiedendo di più perché è preoccupata dal debito, più che dal deficit.
A metà ottobre il Fondo monetario internazionale ha calcolato che il nostro debito pubblico vale ormai il 136% del pil. Una percentuale altissima se si tiene conto del fatto che il 140% è spesso indicato come il punto di non ritorno per la sostenibilità finanziaria di un Paese. Un debito che ci mette anche parecchio piombo nelle ali, visto che il pagamento degli interessi – mai così bassi, va detto – assorbe il 5% del pil.
Il fatto che lo spread coi titoli tedeschi sia sotto i 130 punti e che il Btp decennale paghi a stento il 2% non deve trarre in inganno. Non è da questi indicatori che i partner europei si
stanno facendo distrarre. Il problema è quel 136% e il nulla che stiamo facendo per ridurlo.
L’accento sulle riforme che anche ieri è stato messo dall’Eurogruppo non significa che in Europa siano rapiti dal Jobs Act, o che siano interessati all’Italicum, piuttosto che alla riforma del Senato.
Anche in Europa sanno che l’unica riforma italiana che può avere qualche ricaduta sul quadro economico è quella del lavoro, ma nessuno si aspetta risultati nel breve periodo. Però le riforme sono importanti per dare la scusa alla Bce di Draghi di sostenere il Paese, comprando i suoi titoli di Stato.
Il redde rationem tra l’Italia e l’Europa avverrà a marzo. Se il pil italiano non si sarà rimesso in marcia, rischiamo di andare sotto procedura d’infrazione e di farci dettare la politica economica da Bruxelles. Tra le misure che ci potrebbero essere richieste, negli scenari più foschi, c’è anche una qualche forma di ammortamento del nostro enorme debito pubblico.
Come? Cominciando dai titoli di Stato detenuti dalle nostre banche, alle quali potrebbe essere chiesto un sacrificio nell’ordine del 10-15% sul totale dei titoli posseduti. Si tratterebbe, in pratica, di cancellare uno o due titoli su dieci, “in cambio” degli alti interessi che sono stati comunque incassati in questi anni. E la patrimoniale sulle banche italiane sarebbe compatibile con lo stato di solidità complessiva del sistema creditizio nazionale uscito dai recenti stress test.
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