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Annachiara Sacchi per il "Corriere della Sera"
Una «cordiale conversazione». Dai toni pacati e alti, in fondo si discute di musica e del teatro più importante d'Italia, la Scala. Ma difficilmente parole tanto garbate hanno un effetto così dirompente, ed è il finanziere Francesco Micheli a pronunciarle. Dalla gestione Lissner («nel mondo ci prendono in giro») all'anno verdiano («affidato a maestri non di tripla A»), fino ai direttori: «Allontanati italiani competenti e sostituiti con stranieri, facciamo finta, competenti».
Bombe «micheliane» pronunciate ieri sera ai microfoni di «Musica Maestro», la trasmissione di Radio 24 in onda ogni domenica alle 21. Si parte dall'Italia, «dove l'attenzione per la cultura è molto modesta», si prosegue con il teatro, vittima «di meccanismi di finanziamento strabici».
Ma il pensiero va sempre alla Scala: Micheli, grande esperto di musica - è presidente del festival MiTo - ha fatto parte del cda del Piermarini fino allo scorso maggio e non nasconde le preoccupazioni. Soprattutto sul nuovo sovrintendente (Lissner dirigerà dal 2015 l'Opéra di Parigi): «Qualche nome gira, e potrebbe dimezzare gli abbonamenti. Ma alla Scala serve un personaggio di caratura internazionale, non necessariamente uno straniero».
Ed ecco lo strale: «Uno dei problemi del Piermarini è non tanto l'internazionalizzazione, quanto l'esterificazione». Soprattutto a danno della lirica: «Cent'anni di direttori, da Toscanini ad Abbado a Muti, hanno creato qualcosa che giovani maestri e grandi talenti di paesi lontani non possono capire».
Niente nomi, anche se non è difficile pensare a Barenboim e Harding. Dopo aver ascoltato le note di «Lascia ch'io pianga» di Händel, Micheli aggiunge: «à impossibile che non ci siano italiani in grado di gestire il patrimonio della Scala». Musicale ed economico (110 milioni di euro all'anno). Quanto a Lissner: «Il suo arrivo fu prezioso in una fase difficile, ma dopo due anni avrebbe dovuto lavorare sui problemi veri. E il teatro è diventato oggetto di prese in giro a livello globale, tant'è che la tournée dell'anno verdiano in Cina è stata cancellata».
Il bicentenario verdiano, appunto. «I primi titoli, dal Falstaff al Nabucco - analizza Micheli - non stanno andando bene: non si può sbagliare il "Va' pensiero", alla Scala non possono succedere queste cose. Sarebbe meglio fare meno Verdi se non lo si vuole affidare a direttori - come si dice nella finanza - di tripla A».
Un'ora di conversazione, c'è anche una battuta sul critico musicale del Corriere, Paolo Isotta, cui la Scala ha deciso di chiudere le porte. «Sono brutti aspetti - conclude Micheli - di una gestione che ha dato parecchi esempi di arroganza e poco rispetto per Milano».
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