DAGOREPORT – MARINA E PIER SILVIO NON HANNO FATTO I CONTI CON IL VUOTO DI POTERE IN FAMIGLIA…
Mario Ajello per “il Messaggero”
Bisogna tenere botta, sul No Tav, fino alle elezioni Europee. Facendo fuoco e fiamme per incassare, a beneficio M5S, il dividendo di questa battaglia identitaria. Dopo di che, passato il voto di maggio, si apriranno altri scenari, anche sull' alta velocità, oltre che sul governo.
E dunque, la linea che Di Maio ha trasmesso alla sindaca torinese Appendino, nell' incontro di ieri, è quella di tenere il punto sul No Tav. Anche se la sventola scagliata dalla super-piazza di sabato a Torino continua a fare male, molto male, sia alla Appendino sia a Di Maio.
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LA RESISTENZA
Resistere nel niet, nonostante si sentano circondati da un Paese che vuole velocità e sviluppo, è la condotta decisa nell' incontro a due e si tratta di una resistenza - di cui sembra più convinto Di Maio che la Appendino: «Guarda, Luigi, non possiamo sottovalutare la manifestazione di piazza Castello, anche se non è proprio vero che non fosse partitica» - che può giovarsi, ma non a lungo, della disponibilità di Salvini a non imporre le sue idee in materia, che non sono affatto da decrescita felice.
Tra i due, la sindaca e il vicepremier, il più arcigno è quest' ultimo. Mentre la Appendino - di cui dice chi la conosce bene: «Anche lei è convinta che alla fine la Tav si farà» - in queste ore ai suoi interlocutori sta mandando questo messaggio: «Da sola ormai non posso reggere più Torino, la città protesta e io ho bisogno di aiuto».
Il fatto è che per garantire l' unità dei 5 stelle, ossia per rispetto della ragion di partito, la sindaca ha finito per sottostare alle esigenze nazionali e propagandistiche del suo movimento ma così facendo si è messa contro la maggioranza della sua città. Adesso, in cambio, le serve da Di Maio «tutta la protezione e lo sviluppo che il governo può dare a Torino, sennò...».
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Sennò una situazione politicamente gravissima, qual è quella in cui versa la sindaca spaesata, potrebbe perfino portare alla fine anticipata della sua esperienza di governo. Sembra essere messa peggio lei della Raggi. «Ho il dovere di collaborare anche con chi non la pensa come me», ha detto a Di Maio. Aggiungendo: «Ma nessuno mi dà più ascolto».
E infatti le sette madamine - le celebratissime donne organizzatrici della piazza Sì Tav - sono assediate dalla richiesta della sindaca: «Vediamoci anche subito, sono pronta a ricevervi adesso». Ma loro prendono tempo. «Vogliamo alzare il livello dello scontro», sorridono: «Ovvero portare la questione Torino al Colle».
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Poi accetteranno l' invito della sindaca e intanto la lasciano soffrire: non hanno ancora inviato la richiesta di incontro al Capo dello Stato e al Quirinale infatti nulla per ora è arrivato. E si tratterà di vedere come impostare la questione nei giusti binari istituzionali. Le madamine stanno preparando il dossier da portare al Colle e dentro c' è di tutto, dalla mobilità al lavoro, dell' innovazione alle politiche sociali. Quasi un programma di partito. E chissà se non finirà per essere quello del Pd alle Europee, e alle successive regionali, ma senza il logo Pd.
È l' ambito imprenditoriale, su questo Di Maio e Appendino concordano, quello da cui tentare una difficile ripartenza. Al mondo imprenditoriale che fino a prima del no alle Olimpiadi sosteneva la sindaca adesso va dato qualcosa. «Dobbiamo lanciare un segnale», dicono la sindaca e il vicepremier.
Che però nell' operazione recupero di un rapporto con i ceti imprenditoriali, non solo piemontesi ma di tutto il Nord da cui M5S sta sparendo, sono disturbati, ma non lo dicono, dalle sortite anti-borghesi di Grillo. E così, al termine del colloquio tra Luigi e Chiara si apprende che il sindaco ha chiesto al vicepremier di inserire anche Torino tra le aree industriali in crisi. Torino come Taranto. Il soccorso alla Appendino per non perderla e per non perdersi.
LA PROSPETTIVA
E comunque il grillino No Tav è destinato a svettare fino a maggio. Dopo il voto, con un ritocchino qui e uno lì, togliendo la stazione mega galattica di Susa, eliminando il contestato raccordo di Orbassano, la grande opera probabilmente ripartirà. Con questo governo o magari con un altro.
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