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Paolo Mastrolilli per "la Stampa"
Julian Assange mette il cappello sul movimento globale di protesta «Occupy Wall Street» e minaccia: «Non siamo finiti, ci sono migliaia di nuove rivelazioni in arrivo». Il fondatore di Wikileaks interviene via video all'assemblea della Sociedad Interamericana de Prensa, dal suo rifugio britannico, dove aspetta le decisioni dei giudici sulle accuse di stupro. Prima di rispondere alle domande dei giornalisti, avverte: «Oggi qualunque media che faccia un lavoro serio è sottoposto allo spionaggio, o da parte dei governi, o da parte di gruppi privati. L'unica maniera per difenderci è adottare tecniche da controspionaggio, e comportarci come i servizi di intelligence. Il nostro primo obbligo è capire e rivelare i complessi meccanismi delle transazioni finanziarie internazionali, perché sono il principale strumento utilizzato per fare pressioni nel mondo».
Può fare qualche esempio?
«Il sistema bancario off shore che priva gli stati, e quindi i cittadini, di risorse fiscali fondamentali».
Parla da giornalista o da attivista?
«Sono in ballo da troppo tempo per darvi una risposta secca ad una domanda del genere. Mi considero un giornalista, ma se parliamo di difendere la libertà di espressione, allora sono un attivista».
Se si considera un giornalista, perché ha rivelato le sue fonti?
«Non l'ho fatto io, ma un giornalista del "Guardian". Pubblicando le chiavi per accedere ai nostri dispacci senza filtro ha violato una precisa clausola contrattuale. A quel punto siamo stati costretti a rivelare i contenuti anche noi, per evitare che venissero manipolati e presi fuori contesto, come stava già accadendo».
Cosa l'ha delusa di più in questi mesi?
«L'autocensura dei media occidentali, anche quelli progressisti come il "Guardian", nel pubblicare i nostri documenti. I media dei paesi in via di sviluppo sono più onesti e coraggiosi».
à vero che negli ultimi tempi una dozzina di persone hanno lasciato Wikileaks o sono state allontanate?
«No, abbiamo sospeso solo una persona in Germania. Queste voci le mette in giro chi vuole screditarci, fanno parte del piano».
Le accuse di stupro contro di lei rientrano nello screditamento?
«Di questo rispondo in tribunale».
Cos'altro c'è, nel piano contro Wikileaks?
«L'embargo imposto da Visa, Mastercard, Paypal, Western Union, e il sistema bancario americano, che hanno deciso di soffocarci sulla base di pressioni ricevute dal governo Usa».
Rischiate di chiudere?
«Per fortuna no. Negli ultimi undici mesi siamo sopravvissuti con il contante ricevuto dalle donazioni, ma abbiamo contratti con circa cinquanta media in tutto il mondo per pubblicare migliaia di altri documenti, che sono in arrivo. Poi contiamo di vincere le cause legali contro il sistema che cerca di strozzarci, ma se non andasse così, il livello di sostegno ricevuto dalla comunità internazionale ci garantisce che resteremo in vita».
Quale agenda avete?
«Pubblichiamo informazioni e documenti, su qualunque stato o chiunque abbia cose interessanti. Il livello di appoggio per noi nella società civile non era mai stato così alto. Il movimento globale di protesta "Occupy Wall Street" si ispira almeno in parte al nostro lavoro, perché abbiamo contribuito a creare questo clima in cui i cittadini esigono trasparenza, vogliono sapere cosa fanno i politici e metterli davanti alle loro responsabilità . Avere il sostegno di tanti accademici, studiosi, funzionari governativi scontenti, non ci serve solo per sentirci bene, ma soprattutto per allargare l'orizzonte delle fonti da cui stiamo ricevendo informazioni sempre più importanti e interessanti».
Non ha paura di pubblicarle?
«Io ho paura, come tutti gli esseri umani, però cerco di avere una strategia per aggirare i rischi. E poi guardate: si vive una volta sola, per un periodo piuttosto breve. Tanto vale essere coraggiosi, nel frattempo».
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