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Federico Capurso per “la Stampa”
VIGNETTA SUI DEPUTATI CHE HANNO CHIESTO IL BONUS DA 600 EURO
I vertici di Lega, M5S e Italia Viva - i partiti coinvolti nello scandalo del bonus Covid chiesto da cinque deputati - si agitano da ore intorno al muro della legge sulla privacy, che protegge i nomi dei "furbetti". Solo due leghisti e un grillino sono riusciti a incassare i 600 euro - lascia trapelare l'Inps -, ma la caccia al nome è stata finora infruttuosa. Così, si cerca di aggirare l'ostacolo. Il Movimento chiede a tutti i suoi deputati di firmare e inviare entro oggi una dichiarazione in cui si autorizza l'Inps a comunicare al capo politico Vito Crimi se abbiano fatto richiesta e successivamente usufruito del bonus Covid.
Accettano quasi tutti, pur senza entusiasmo. Diverso il metodo scelto da Italia viva. Il vicepresidente della Camera Ettore Rosato telefona direttamente al presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, dal quale ottiene una mezza rassicurazione: «Nessun parlamentare di Iv ha incassato il bonus». Resta il problema se un deputato renziano lo ha chiesto, quel bonus, a fronte di 13mila euro mensili di stipendio.
PASQUALE TRIDICO E IL CASINO SUL SITO DELL'INPS
La Lega, invece, preferisce avviare delle verifiche interne «senza però ottenere riscontri positivi», fanno sapere da via Bellerio. Il cerchio - sostiene una fonte interna al partito - si sarebbe comunque stretto intorno a due deputati, uno emiliano e l'altro lombardo, con cui sarebbe iniziato un confronto riservato. Dietro la "sporca cinquina" ci sono altri 2mila politici, tra assessori, presidenti di provincia, consiglieri regionali e comunali, che avrebbero attinto al bonus Covid.
Quando si entra nella grande matassa della politica locale, però, la questione si fa più spinosa. Gli agi e i velluti dei palazzi romani, infatti, sono spesso un miraggio, come sottolinea Anita Pirovano, consigliera comunale di Milano, la prima a farsi avanti ammettendo di aver ottenuto i 600 euro. «Ricevo un gettone di presenza di circa 80 euro lordi a seduta», scrive lei su Facebook, «quindi, per riuscire a ottenere un'autonomia di reddito da ceto medio bisogna almeno avere un lavoro part-time».
Diversa la questione per i due consiglieri regionali del Piemonte, sempre leghisti, Matteo Gagliasso e Claudio Leone, che ammettono di aver ottenuto il bonus - nonostante incassino circa 8mila euro al mese tra indennità e rimborsi -, ma sottolineano anche di averlo già restituito. E la colpa d'averlo chiesto, sostengono entrambi, è stata del loro commercialista.
LUIGI DI MAIO E MATTEO SALVINI
La lista dei colpevoli (tra politici e commercialisti) rischia di allungarsi nei prossimi giorni, ma gli strumenti per scovare i nomi dei cinque deputati restano limitati. Si alza la pressione politica sull'Inps, che però, per legge, non può rivelare le generalità di chi ha ottenuto il bonus. Emerge poi una delibera dell'Anac del 2013, che impone agli enti pubblici di rendere trasparenti «gli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici», ma solo per importi superiori ai 1000 euro. Inutile, dunque, per i due bonus Covid che non superano quella soglia.
Così si torna sempre sotto il muro della tutela della privacy. E la vicenda, avvitandosi su se stessa, si trasforma in uno spot da bar per la campagna referendaria, subito cavalcato dai Cinque stelle: «Politici furbetti con stipendi da capogiro che richiedono il bonus di 600 euro per le partite Iva in difficoltà - dice Luigi Di Maio -. E ci si domanda ancora se il taglio dei parlamentari sia una cosa giusta». Come se un numero minore di eletti, per magia, elevasse la moralità di tutti.
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