“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Tommaso Labate per "Pubblicogiornale.it"
Se le tematiche «anti-europee» diventassero prevalenti in campagna elettorale, allora «ci sono due meccanismi che potrebbero aiutare il Paese a mantenere l'alto grado di credibilità raggiunto sulla scena internazionale». Il primo rimanda al fiscal compact e agli obblighi interni sul contenimento del debito pubblico. E vabbe'. Il secondo, però, «è la riforma elettorale». Perché «degli accorgimenti potrebbero essere introdotti con l'idea di assicurare una coalizione centrista che potrebbe facilitare la permanenza di Mario Monti a Palazzo Chigi».
Non si tratta dell'analisi di qualche costituzionalista iper-montiano che si esercita sulla strada più breve per arrivare alla Grande Coalizione. Né della dichiarazione di qualche politico terzopolista che rivendica quello che soltanto Pier Ferdinando Casini dichiara pubblicamente di perseguire. No. L'analisi, di fatto una road map su come ottenere un Monti-bis dal "semplice" (si fa per dire) cambio della legge elettorale, è contenuta in un report di Goldman Sachs.
E nell'analisi della banca d'affari statunitense, che porta la data del 20 settembre scorso e che era stata annunciata dal quotidiano «MF», è tutto nero su bianco. Chiaro, che più chiaro non si può. «The reform of electoral law: in the context of the forthcoming electoral law, tweaks might be introduced with the idea of ensuring a centrist coalition that could facilitate Monti staying in place. It is unlukely that President Napolitano will trigger elections until this is revolved».
Certo, gli analisti di Godlman Sachs non specificano se questa «centrist coalition» dovrebbe o meno partecipare alle elezioni.
Ma visto che l'indisponibilità di Monti a candidarsi è nota anche Oltreoceano, è evidente che la riforma dovrebbe servire solo a facilitare il ritorno senza passare dalle urne del Professore a Palazzo Chigi. Una riforma che, evidentemente, non prevede premi di maggioranza per chi vince, sia esso partito o coalizione. Uno schema che assomiglia tantissimo al sistema elettorale tedesco.
Eppure, ai piani alti del quartier generale del Partito democratico - dove nelle ultime quarantott'ore il report è stato debitamente analizzato - nessuno ha protestato. Nessuno s'è rifugiato nella (spesso troppo comoda, sia chiaro) retorica dei «poteri forti». Non l'ha fatto il segretario Pier Luigi Bersani, che anche nella sua ultima intervista (a «Pubblico») aveva respinto ogni ipotesi di Grande Coalizione. E non l'ha fatto neanche il responsabile economico Stefano Fassina, uno dei più agguerriti detrattori dell'«agenda Monti».
Perché? Semplice. Perché s'è c'è una forza politica che per Goldman Sachs è in grado di proseguire nella prossima legislatura il lavoro fatto da Monti, quella è proprio il Pd.
«Secondo i sondaggi», si legge nella prima delle due pagine del report, in Italia «lo scenario prevalente è quello in cui si formerà una maggioranza di centrosinistra attorno al Pd di Pier Luigi Bersani». Certo, annotano gli analisti della banca d'affari, «se Bersani guiderà o meno il Pd alle prossime elezioni sarà deciso dalle primarie del partito, previste in novembre». Ma «una simile maggioranza», è il punto chiave, «dovrebbe con ogni probabilità mantenere una linea Monti». Anche, si legge qualche riga dopo, «se non è ancora chiaro se (il Pd, ndr) vorrebbe Monti come premier».
La promozione del Pd va di pari passo con la stroncatura senz'appello che Goldman Sachs rifila sia a Silvio Berlusconi che a Beppe Grillo. Due personaggi che, insieme alle rispettive forze politiche, potrebbero trarre vantaggio «dalle riforme impopolari del governo Monti», che «hanno aumentato il sostegno per le campagne anti-europee e anti-euro di diversi partiti». Come il Pdl del Cavaliere, «caratterizzato da un notevole scetticismo sugli ultimi sviluppi europei». E come, si legge sempre nel report, «il cosiddetto il Movimento Cinquestelle (lo chiamano Five Star Movement, ndr) di Beppe Grillo, famoso comico, attore e new comer della politica».
Sono preoccupate, le teste d'uovo della banca d'affari americana. Anche per gli effetti collaterali che, nella prossima campagna elettorale, potrebbero scaturire dal dibattito sulle nuove tasse. Tra cui l'Imu. «Le proposte di abolire una tassa profondamente impopolare sulle case che vale venti miliardi di euro, che è uno dei pilastri del duro programma di austerità di Monti per tagliare il debito italiano», scrivono gli analisti di Goldman Sachs nel documento, «sono state già avanzate in alcuni ambienti».
Di più non si dice. Ma il riferimento a Berlusconi, che qual che giorno fa ha promesso l'abolizione dell'Imu nel caso di un suo ritorno in sella, è di tutta evidenza. Come sono evidenti, a leggere il report, «le chances» del movimento grillino di accaparrarsi i voti di una buona fetta dell'elettorato italiano grazie «alla delusione dei cittadini rispetto all'attuale sistema politico».
Secondo Goldman Sachs, insomma, le tendenze euroscettiche del Pdl e di Grillo «non dovrebbero essere sottovalutate». E si torna al punto di partenza. Ai due meccanismi per tenere alto «il livello di credibilità » raggiunto dall'Italia nello scacchiere internazionale. Il Fiscal compact, certo.
E quella riforma elettorale che Goldman Sachs disegna. L'unico viatico «to facilitate Monti staying in place». La strada che riporterebbe il Professore a Palazzo Chigi, insomma. Accompagnato da una «centrist coalition» che la banca d'affari, evidentemente, vede già all'orizzonte.
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