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DRAGO DRAGHI IN WYOMING A RIPETIZIONI DALLA FEDERAL RESERVE DELLA YELLEN – LA NOSTRA ULTIMA CHANCE È UN EURO CHE SI INDEBOLISCE – LA LEZIONE DEI 5 ANNI DI RIPRESA “MADE IN USA”

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Federico Rampini per “La Repubblica”

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E’ arrivato finalmente il sollievo di un euro debole? L’eurozona continua a perdere colpi, la locomotiva americana rafforza la sua andatura. E’ un copione collaudato, ma ora comincia ad avere una ricaduta anche sui mercati dei cambi: l’euro imbocca una discesa prolungata. E la divaricazione tra le due sponde dell’Atlantico s’impone come un tema dominante al raduno dei banchieri centrali che si tiene oggi a Jackson Hole sulle Montagne Rocciose del Wyoming.

 

E’ il luogo di un faccia a faccia tra Janet Yellen e Mario Draghi: cioè tra la Federal Reserve che fin qui ha azzeccato la ricetta monetaria vincente, e la Bce che ha un bilancio molto più deludente da presentare.

 

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L’ultimo segnale di crisi dell’eurozona arriva dall’indice degli acquisti dei manager d’impresa: da luglio ad agosto ha perso quota, passando da 53,8 a 52,8. Vi contribuiscono in modo determinante le due maggiori economie del continente, Germania e Francia, ambedue in rallentamento (come l’Italia). Il tasso di disoccupazione dell’eurozona, a quota 11,5%, è ormai quasi il doppio rispetto al livello americano. Si aggiunge un altro indicatore negativo, l’indice di fiducia dei consumatori è anche quello in ribasso secondo la rilevazione della Commissione di Bruxelles.

 

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Anche se a Jackson Hole non è consuetudine fare il processo a una banca centrale, tuttavia il verdetto implicito non sarà ignorato: gli interventi della Bce fin qui sono stati inefficaci, ivi compreso l’ultimo abbassamento dei tassi direttivi che li ha spinti sottozero. Guardando all’esempio americano i numeri parlano chiaro: cinque anni di ripresa Usa, cinque anni perduti nell’eurozona.


Sul fronte americano infatti continuano le buone notizie. La più importante è il numero di richieste di indennità di disoccupazione, calato ai minimi da otto anni. Per la prima volta dal 2006, i disoccupati iscritti alle liste per le indennità sono scesi a 298.000. Un dato coerente con un mercato del lavoro che negli ultimi sei mesi ha regolarmente creato un saldo netto mensile di 200.000 posti aggiuntivi. Segnali positivi anche dal mercato immobiliare, tradizionalmente uno dei motori dell’economia americana: le vendite di case nel mese di luglio sono salite del 2,4% ed è il quarto mese consecutivo in rialzo.

 

BERNANKE YELLEN OBAMABERNANKE YELLEN OBAMA

Queste conferme sul vigore della crescita americana intensificano il dibattito in seno alla Federal Reserve. Ai vertici della banca centrale una corrente di “falchi” vorrebbe anticipare i tempi di un rialzo dei tassi, per prevenire un surriscaldamento dell’economia e un ritorno dell’inflazione. Per ora vince il partito delle colombe guidato dalla presidente Janet Yellen: secondo lei c’è ancora tanta disoccupazione nascosta, e soprattutto questa ripresa non sarà “sana” finché non avrà generato dei consistenti aumenti salariali, dei quali ancora non v’è traccia.


I mercati però guardano lontano e giocano ad anticipare le mosse della politica monetaria. Possono sbagliare calcoli, ma al momento vedono questo scenario: da una parte c’è un America che cresce da 60 mesi e prima o poi dovrà abbandonare la politica del credito a buon mercato; dall’altro c’è un’eurozona inchiodata alla recessione, prigio-
niera dell’austerity, con una politica monetaria timida, e ultimamente fragilizzata anche dalle turbolenze geopolitiche ai suoi confini (crisi ucraina, scambi di sanzioni con la Russia, Medio Oriente).

YANET YELLEN cover YANET YELLEN cover

 

I capitali si muovono di conseguenza. Puntano su una ripresa del dollaro, sia perché è la moneta di un’economia in crescita (e quindi presto destinata ad avere rendimenti superiori), sia perché nelle turbolenze geopolitiche ritorna ad assumere un ruolo di bene-rifugio. L’euro perde quota, scende a 1,32 sul dollaro che è il minimo da 11 mesi a questa parte. Almeno questa è una buona notizia, insieme con l’ulteriore calo dei tassi sui titoli pubblici dell’eurozona, anche questo indotto dalle aspettative di una prolungata recessione europea che allargherà una forbice dei tassi a vantaggio degli Stati Uniti. Ma l’euro avrebbe bisogno di indebolirsi molto di più, tenuto conto del deficit di competitività degli esportatori italiani e francesi, e del fatto che agli albori della moneta unica partì da una parità inferiore al dollaro.