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Nell'intervista su FqMillenniuM in edicola da sabato 7 aprile, l'imprenditore condannato per il crac Ambrosiano e per la P3 racconta gli affari in Costa Smeralda con il leader di Forza Italia. “L'acquisto di Villa Certosa? Un furto, una rapina. Lo venni a sapere quando ero in carcere a Parma e mandai telegrammi a Berlusconi, Dell’Utri, Confalonieri, diffidandoli dal comprarla. Diedero al mio assistente Emilio Pellicani mi pare 800 milioni di lire, ma non corrispondevano neanche a un decimo, a un ventesimo, del suo valore”.
Flavio Carboni, personaggio al centro di molti misteri italiani, da Calvi alla P3, racconta cinquant'anni nel “mondo di mezzo”, là dove si incontrano politica, imprenditoria e criminalità. Lo fa in una lunga intervista a FqMillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, in edicola domani.
Carboni, condannato in via definitiva per la bancarotta del Banco Ambrosiano, assolto dall'accusa dell'omicidio di Roberto Calvi (“Indiscutibilmente non è omicidio, se no che lo provino”, si inalbera), recentemente condannato in primo grado per l'affare P3 (“Non l'ho organizzata io”, assicura), si sofferma su rapporti con l'attuale leader di Forza Italia, risalenti agli anni Settanta e alle prime speculazioni immobiliari in Costa Smeralda: “Eravamo ragazzi, ci siamo presi subito. Cominciai col vendergli, nel ’72, centomila metri cubi nel cuore di Porto Rotondo, che poi lui rivendette”.
Ma proprio nell'affare Costa Smeralda furono coinvolti nomi di peso della criminalità organizzata, a partire da Pippo Calò, poi condannato come “cassiere” della mafia corleonese. Carboni fa risalire il suo rapporto con Calò - che allora agiva sotto il falso nome di Mario Aglialoro - al “mercato dei soldi” di Campo de' Fiori a Roma, dove in quegli anni gli usurai operavano alla luce del sole: “Era una sorta di istituzione a cui ricorrevano molti costruttori, ma anche professionisti e uomini dello Stato. Io stesso ci sono andato sovente con funzionari di Polizia e magistrati”, ricorda.
È qui che Carboni entra in contatto con personaggi come Domenico Balducci ed Ernesto Diotallevi, legati alla parabola della banda della Magliana. L'alto e il basso, il mondo di mezzo a far da collante. Perché Carboni rivendica altri rapporti. Francesco Cossiga? “Avevamo un legame fraterno, l’ho frequentato sia prima che dopo il crac Ambrosiano. Anche quando era ministro dell’Interno e poi Presidente della Repubblica”. E poi le entrature ai vertici del Vaticano, la collaborazione con Francesco Pazienza, agente del Sismi e piduista.
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