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Cristina Marconi per “il Messaggero”
A poche settimane dall' avvio dei negoziati ufficiali per l' uscita dall' Unione europea, la Scozia si preparerebbe a chiedere un nuovo referendum per l' indipendenza. Una prospettiva che preoccupa una Theresa May già alle prese con il dossier dei tre milioni e passa di cittadini europei nel Regno Unito e sul futuro degli europei nel Paese: secondo alcune fonti, da cui Downing Street ha cercato di prendere le distanze, quando intorno al 15 marzo prossimo la premier avvierà i negoziati ufficiali con Bruxelles, annuncerà anche la fine della libera circolazione dei lavoratori europei.
PROBLEMI LEGALI
E la stessa data dell' invocazione dell' articolo 50, attesa intorno al 15 marzo, potrebbe essere il termine entro il quale chi non vive nel Paese non avrà il diritto di restarci, dopo che in precedenza si era parlato del 23 giugno 2016, data del referendum sulla Brexit.
Quest' ultima opzione, però, solleverebbe il rischio di problemi legali. A riprova delle tensioni esistenti fuori e dentro l' esecutivo, fonti governative hanno cercato di ridimensionare le notizie, spiegando che non verrà annunciata nessuna «data spartiacque» fino a quando non verranno garantiti anche i diritti dei britannici che vivono negli altri Stati membri, un milione e duecentomila di cui la maggioranza abita in Spagna.
Ma l' ipotesi di attendere due anni spaventa molti, tanto che una fonte di governo ha espresso il timore che «metà della Bulgaria e della Romania» si trasferiscano nel Regno Unito prima che la Brexit abbia effetto, mentre per il ministro degli Interni Amber Rudd «una cosa che posso confermare è che finirà la libera circolazione delle persone come la conosciamo». Il governo starebbe pensando a un sistema di visti di cinque anni per i nuovi arrivi che puntano a un impiego in alcuni settori chiave, limitando al tempo stesso il loro accesso ai sussidi e al welfare.
Ma se la May ha fretta di risolvere la questione, anche per evitare che ci sia una fuga dei lavoratori nei posti chiave, come ad esempio il sistema sanitario nazionale, che è già al collasso e dove 38mila infermieri sono europei, da Bruxelles fanno presente come Londra dovrà aspettare la fine dei due anni di negoziati in base all' articolo 50 del Trattato di Lisbona per prendere decisioni: fino ad allora, è un membro della Ue.
Il fatto che da un punto di vista burocratico le procedure di regolarizzazione della posizione di chi vive qui siano lunghe e difficili non aiuta a migliorare un clima in cui le associazioni dei datori di lavoro esprimono in continuazione la loro preoccupazione sul futuro dell' economia. Secondo uno studio commissionato dai LibDem, l' unico partito apertamente pro-Ue, un quarto delle domande di residenza permanente da parte di cittadini Ue con più di cinque anni di permanenza nel Regno Unito sarebbero state bocciate dal referendum in poi: 12.800 si sono visti rifiutare la richiesta, mentre per altri 5000 sarebbe stata giudicata non valida.
LA QUESTIONE SCOZZESE
La giornata difficile di ieri è stata segnata anche dalle voci di un possibile secondo referendum sull' indipendenza scozzese dopo quello del settembre del 2014. Gli scozzesi hanno votato ampiamente contro la Brexit e, secondo i sondaggi non sarebbero più favorevoli all' indipendenza ora di quanto lo fossero due anni e mezzo fa, ma siccome la leader dell' SNP Nicola Sturgeon ha più volte ventilato l' ipotesi di un nuovo voto, è difficile che non colga l' occasione dell' invocazione dell' articolo 50 per annunciarlo. La May può sempre dire di no, ma rischierebbe di cadere in un baratro costituzionale e politico più profondo di quello in cui già di trova.
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