FLASH! - LA DISCESA IN CAMPO DEL PARTITO DI VANNACCI E' UNA PESSIMA NOTIZIA NON SOLO PER SALVINI,…
Paola De Carolis per il “Corriere della Sera”
Per due ore e mezzo, in una Camera dei Comuni all’inizio gremita e gradualmente sempre più vuota, David Cameron ha accolto ieri le domande dei deputati sui nuovi termini del rapporto tra Gran Bretagna e Unione europea. Per il premier il dibattito ha rappresentato una tappa importante su una strada ancora in salita. Se approvate a Bruxelles durante il vertice del 18 e 19 febbraio, le modifiche spianeranno la strada verso un referendum, forse già il 23 giugno, sul futuro del Regno Unito in Europa.
Senza segni di impazienza, stanchezza o malumore — nonostante il tono bellicoso di diverse interpellanze — il premier ha spiegato misura per misura i cambiamenti concordati con il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk, dal limite all’accesso ai sussidi previdenziali per i migranti dell’Ue, alla salvaguardia del Regno Unito contro una maggiore integrazione europea, dall’incremento dei poteri dei parlamenti nazionali rispetto all’Ue, alla protezione dei Paesi che non usano l’euro.
Il primo ministro ha parlato con scioltezza e facilità a lui naturali, e non ha voluto chiudere il dibattito prima che l’ultima domanda fosse stata posta. La Gran Bretagna, ha sottolineato, «non adotterà l’euro, non aderirà al Trattato di Schengen e non farà parte di un superstato europeo»: ciò non toglie che sia «più forte in Europa che fuori».
Cameron rimane europeista, ma se vuole vincere il referendum sa di aver bisogno di ogni voto, conservatore, laburista, scozzese, gallese o irlandese che sia. I contestatori non mancano, soprattutto nel suo partito. Durante il dibattito di ieri erano assenti diversi pesi massimi, tra cui il cancelliere dello scacchiere George Osborne. Il sindaco di Londra Boris Johnson è sembrato scettico sugli accordi, raggiunti da Cameron: «Il primo ministro farà sicuramente buon viso a cattivo gioco, ma il lavoro da fare è ancora tanto», ha detto.
Meno diplomatico il deputato Tory Jacob Rees-Mogg, secondo il quale le riforme sono una versione molto diluita di quelle che il primo ministro desiderava: Cameron ha due settimane per «salvare la sua reputazione di buon negoziatore», ha detto. Stando all’ex ministro della difesa Liam Fox almeno cinque ministri sono pronti a schierarsi contro Cameron sull’Europa, unendosi alla campagna per il no.
Per ora, comunque, le critiche rimangono velate, o pronunciate per lo più lontano dai microfoni. L’ufficio del premier ha chiesto il silenzio sino all’approvazione dei nuovi accordi. Solo dopo saranno svelate le carte in tavola. Potrebbero non mancare i colpi di scena. Un punto interrogativo è chi sarà a condurre una campagna coerente per il no che non sia quella dai toni accesi e coloriti di Nigel Farage.
I commentatori non escludono che possa trattarsi dello stesso Johnson, considerato da molti l’erede naturale di Cameron, o della ministra degli Interni Theresa May, che pure ha definito le riforme «una buona base sulla quale lavorare». Due settimane sono una vita in politica e i giochi non sono ancora fatti.
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