DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
Annalisa Cuzzocrea e Giovanna Vitale per “la Repubblica”
Doveva essere la settimana della ripartenza, dopo la festa di Palermo, dove Virginia Raggi è stata acclamata come una rockstar dai militanti, finendo però impallinata dal fuoco amico dei big a cinquestelle.
Si è trasformata nell’ennesima corsa a eliminazione. Che ieri ha fatto fuori il terzo assessore comunale al Bilancio, individuato a fatica nell’arco di un mese dopo una sfilza interminabile di rifiuti, e bruciato tutti i ponti con il governo nazionale, precipitando di nuovo nel caos l’amministrazione grillina di Roma.
Il giudice contabile Salvatore Tutino ha infatti declinato l’offerta di entrare in giunta, che pure venerdì pareva cosa fatta. «Era solo una delle persone che stavamo esaminando, il nome arriverà presto», ha provato a difendersi la sindaca. Ma appena le agenzie annunciano il rifiuto, al Senato e alla Camera più di un parlamentare esulta: «L’abbiamo abbattuto, l’abbiamo abbattuto».
Quel magistrato non piaceva a molti, visto che sulla sua nomina alla Corte dei Conti c’era stata un’interrogazione parlamentare dei 5 stelle che accusavano il governo Letta di aver proceduto con una tempistica tale da evitare il tetto di 300mila euro. Roberto Fico, Carla Ruocco, Carlo Sibilia, Roberta Lombardi, a Palermo, non avevano nascosto i loro dubbi. Di qui la paralisi.
Per Beppe Grillo è troppo. L’ala pragmatica guidata da Luigi Di Maio è convinta che se il fuoco amico continuerà, Roma rischi l’immobilismo. Il capo politico è d’accordo ed emana l’ordine di fare silenzio. «Ringrazio di cuore tutti i portavoce M5S che non faranno né dichiarazioni né interviste su Roma nei prossimi giorni», scrive in un tweet. Poi, in un post sul blog ringrazia pubblicamente la sindaca per il no alle Olimpiadi, contrapponendolo alle parole di Renzi sul ponte sullo Stretto.
Non che si fidi di Virginia, Grillo. A Palermo, in un incontro di due ore, non è stata scattata neanche una foto. Non ci sono immagini di una ritrovata intesa perché la linea è: «Piena autonomia, se sbaglia non dobbiamo essere noi a pagarne le conseguenze. Lasciate che faccia da sola».
E da sola, ma incarnando perfettamente lo spirito grillino, la sindaca lancia un ultimatum al premier: «Sarebbe stato da irresponsabili dire sì alle Olimpiadi dice in commissione Sport al Senato - c’è un problema di insostenibilità dei costi. Ma adesso, come è stato fatto il patto per Milano, non vedo perché il governo non possa sottoscrivere un patto per Roma, utilizzando le risorse che derivano dalla mancata candidatura ai Giochi. Spero che nessuno provi a fare di questa scelta un ricatto politico ed economico ». Durissima la replica del sottosegretario alla presidenza del consiglio Claudio De Vincenti: «Il comune di Roma è il più aiutato dallo Stato italiano, grazie ai soldiper il debito, fatto dai romani e pagato dagli italiani.
Noi siamo pronti al Patto per Roma, ma il sindaco non pensi di bluffare: i soldi che sarebbero arrivati per le Olimpiadi andranno a Parigi o a Los Angeles. Aver rinunciato alle Olimpiadi toglierà perciò risorse alle periferie romane». Poi l’affondo: «Quando avrà voglia di passare a Palazzo Chigi, Virginia Raggi troverà la porta aperta. Le spiegheremo nel dettaglio come funziona un bilancio pubblico» .
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