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Amedeo La Mattina per La Stampa
I ministri dimissionari, e con loro un pezzo del gruppi parlamentari, sono a un passo dalla rottura. Non c'è ancora una decisione, soprattutto da parte di Alfano che dovrebbe intestarsi il parricidio e guidare i dissidenti verso una nuova avventura fuori dalla casa del «padre». Per l'ex delfino si tratta di una scelta dolorosa, inimmaginabile fino a pochi giorni fa, adesso si trova davanti al bivio della sua vita politica, ma sono in pochi a credere che se ne andrà sbattendo la porta.
Le cose però non stanno così. Almeno a sentire gli interessati e molti senatori che sono pronti a votare la fiducia. Alfano, Di Girolamo, Lupi, Lorenzin e Quagliariello sembrano avere già un piede sull'uscio. Gli ultimi due sono i più decisi: vorrebbero rompere e restare al governo. Lupi, che ha pressioni dal suo mondo di appartenenza, insiste su Alfano. Se il segretario del partito rompesse, sarebbe chiara l'operazione politica, non un passaggio di singoli transfughi.
Tutti i ministri dimissionari Pdl non condividono il percorso indicato ieri da Berlusconi: dare i 7 giorni a Letta, votare in fretta e furia la legge di stabilità scritta alle sue condizioni e il decreto che blocca l'Iva, e poi correre alle urne tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre. à un percorso «impraticabile», dicono. Vorrebbero prima ascoltare Letta in Parlamento e poi decidere se votare la fiducia.
Non credono inoltre al ridimensionamento dei pitoni e delle pitonesse promesso loro dal Cavaliere, perché lo stesso Cavaliere ha detto chiaro e tondo che il vero pitone gigante è lui. La linea non gliela impone nessuno: ha deciso in perfetta autonomia di mettere in crisi il governo, di chiedere le dimissioni dei ministri Pdl, senza farsi plagiare da Verdini, Santanchè e Bondi.
E tanto per far capire che a comandare è sempre lui, si è pure permesso di umiliare i ministri, raccontando ai parlamentari riuniti ieri alla sala della Regina di Montecitorio che giovedì i ministri erano andati da lui per rimettere nelle sue mani il loro mandato. E il grande capo, sabato, nel bunker di villa San Martino, li ha presi in parola: dimettetevi.
Quindi, ha in sostanza detto Berlusconi ai senatori e deputati, che ieri lo ascoltavano con il fiato sospeso, non si capisce perché i ministri si sono opposti, hanno resistito alle dimissioni, lamentandosi di essersi trovati di fronte al fatto compiuto. «Ma vedrete che attorno a un buon bicchiere di vino si accomoda tutto», ha minimizzato l'ex premier, che non ha lasciato parlare nessuno. Ha lasciato Cicchitto con il dito alzato. «Niente dibattito, caro Fabrizio, quello che hai da dire me lo dirai a cena».
L'ex capogruppo del Pdl avrebbe voluto capire che si fa in Parlamento quando Letta mercoledì andrà a porre la fiducia. «Per fare quello che il presidente Berlusconi ha annunciato, ovvero votare una serie di decreti in una settimana, sarebbe stato opportuno chiedere il ritiro delle dimissioni dei ministri e votare la fiducia. Non basta ritirare le dimissioni dei parlamentari. Il percorso indicato dal presidente Berlusconi si può fare se il governo è nella pienezza del suo mandato», spiega Cicchitto. Ma il pitone gigante non ha dato indicazioni.
Umiliati, attoniti, frastornati, i ministri sono usciti dall'assemblea dei gruppi con la faccia terrea. Durante la riunione tutti hanno notato l'insofferenza di Alfano e anche quella di Schifani. à stato inoltre notato che non ci sono stati applausi quando Berlusconi ha parlato di giustizia e ha attaccato i magistrati «cancro italiano».
«La situazione è grave, il partito è spaccato seriamente, i gruppi non li teniamo più», racconta uno dei ministri mentre lascia Montecitorio. Racconta inoltre che, qualche ora prima, nell'incontro a Palazzo Grazioli, Alfano, Quagliariello, Lupi, Di Girolamo e Lorenzin hanno detto al padrone di casa che sono stati inanellati gravi errori, gli elettori del Pdl non capiscono, la Santanchè non rappresenta la loro storia. «Io non voglio morire fascista», si è sfogata Nunzia Di Girolamo nel Transatlantico della Camera.
Ieri sera Alfano, prima di riunire in gran segreto i ministri dimissionari, è tornato a Palazzo Chigi. Non è dato sapere se ha detto in faccia a Berlusconi che non intende più seguirlo, di certo ha tentato un'ultima mediazione: quella dell'appoggio esterno. Il segretario è tormentato ma consapevole che se rimane nel Pdl è un uomo politico morto. «E' morto anche se va via», è il commento di un pitone di casa ad Arcore.
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