UNO STATO ALLA DERIVA - NEL BRACCIO DI FERRO TRA POLITICA E MAGISTRATURA, UN PUNTO A FAVORE DELLE TOGHE - A POLLARI E MANCINI, OLTRE CHE AI TRE AGENTI CONDANNATI A 6 ANNI, NON RESTA ORA CHE AGGRAPPARSI AL SALVAGENTE LANCIATO LORO VENERDÌ NOTTE DA MONTI, CHE, OLTRE A CONFERMARE IL SEGRETO DI STATO APPOSTO DAI PRECEDENTI GOVERNI PRODI E BERLUSCONI, GIÀ AVEVA SCELTO DI NON CHIEDERE L'ESTRADIZIONE DI 22 DEI 23 AGENTI CIA LATITANTI DAL 2005 - POLLARI: “QUESTO E’ UN PAESE DI FALSI MORALISTI…”

Vai all'articolo precedente Vai all'articolo precedente
guarda la fotogallery

Luigi Ferrarella per il "Corriere della Sera"

La corte d'Appello applica le indicazioni della Cassazione sui confini del perimetro di Stato apposto dai tre governi Prodi-Berlusconi-Monti sugli assetti interni del servizio segreto militare Sismi e sui suoi rapporti con la Cia «ancorché in qualche modo collegati o collegabili con il sequestro» dell'imam radicale egiziano Abu Omar ad opera della Cia il 17 febbraio 2003 a Milano: e, utilizzando le prove che giudica sopravvivano al segreto di Stato, condanna a 10 anni e a 9 anni l'allora direttore del Sismi, generale Nicolò Pollari, e il suo numero 3, Marco Mancini, per concorso nel sequestro di persona.

Un milione di euro (più mezzo milione alla moglie) andrà a risarcire l'imam della moschea di via Quaranta, che gli agenti Cia (ventidue dei quali già condannati il 19 settembre 2012 in Cassazione, insieme al capocentro milanese Bob Lady, a pene fra i 9 e i 7 anni; altri due in Appello l'1 febbraio scorso a 7 e 6 anni insieme al capo della Cia in Italia, Jeff Castelli) portarono in furgone all'aeroporto di Aviano, poi in volo alla base di Ramstein e infine in volo al Cairo, dove subì pesanti interrogatori e anche torture.

A Pollari e Mancini, oltre che ai tre agenti condannati a 6 anni (Luciano Di Gregorio, Giuseppe Ciorra e Raffaele Di Troia), non resta ora che aggrapparsi al salvagente lanciato loro venerdì notte dal governo Monti, che peraltro, oltre a confermare il segreto di Stato apposto dai precedenti governi Prodi e Berlusconi, già aveva scelto di usare la propria discrezionalità di legge per non chiedere l'estradizione di 22 dei 23 agenti Cia latitanti dal 2005 e ormai condannati in via definitiva.

Il salvagente consiste nel fatto che il Consiglio dei ministri venerdì scorso ha deliberato di sollevare davanti alla Corte Costituzionale un altro conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, il quarto in questa vicenda ma senz'altro il più devastante sotto il profilo istituzionale, quello contro la Cassazione paradossalmente proprio per ciò per cui essa esiste nell'ordinamento, e cioè per aver interpretato le norme: in questo caso, per avere indicato nel 2012 ai giudici di merito il perimetro del segreto di Stato riconosciuto nel 2009 dalla Corte Costituzionale.

Sulla scorta della Consulta, nel 2009 il Tribunale di Milano aveva ritenuto di non poter fare altro che dichiarare il «non luogo a procedere» nei confronti dei vertici del Sismi, giacché il segreto di Stato rendeva impossibile accertare sia i fatti a base delle accuse sia quelli addotti a propria difesa dagli imputati.

Nel 2011 il primo processo d'Appello aveva confermato questo verdetto, ma nel settembre 2012 la Cassazione l'aveva annullato spiegando, in motivazione, che il segreto di Stato «può coprire soltanto operazioni rientranti nelle finalità istituzionali del servizio, non la condotta illegale posta in essere da singoli agenti del servizio che abbiano partecipato a titolo individuale ad una operazione della Cia»: certamente non istituzionale, visto che fu proprio «il Presidente del Consiglio l'11 novembre 2005 a proclamare l'assoluta estraneità sotto ogni profilo del Governo e del Sismi a qualsivoglia risvolto del sequestro», estraneità «poi ribadita dal direttore Pollari dinanzi al Parlamento europeo».

La Cassazione ordinava dunque un nuovo Appello nel quale i giudici avrebbero dovuto «depurare il materiale probatorio di tutti gli elementi effettivamente non utilizzabili perché coperti da segreto, e valutare le fonti di prova residue.

È proprio quello che hanno fatto ieri i giudici del processo-bis d'Appello, Luigi Martino, Paolo Giacardi ed Elsa Cazzaniga, prima acquisendo gli interrogatori resi dagli imputati ai pm Spataro e Pomarici durante le indagini e non utilizzati in primo grado a causa del segreto di Stato, e poi concludendo per la colpevolezza di Pollari e Mancini con una sentenza esposta ora a due ipoteche.

La prima è appunto l'esito del conflitto sollevato dal governo Monti, che, se accolto dalla Corte Costituzionale, travolgerebbe a cascata la sentenza di ieri. Palazzo Chigi ritiene lesi i propri poteri sia dalla Cassazione (per l'interpretazione nel 2012 del segreto di Stato alla luce della sentenza del 2009 della Corte Costituzionale), sia dalla Corte d'Appello milanese per l'acquisizione degli interrogatori degli imputati sulla scorta del segreto di Stato interpretato dalla Cassazione.

Per la prima volta, e a differenza dei conflitti sollevati dagli altri governi contro i pm, il gip e il Tribunale milanesi, l'esecutivo Monti sembra adombrare che il segreto di Stato dovrebbe estendersi anche alle direttive aventi a che fare con il fatto storico del sequestro di Abu Omar.

La seconda ipoteca è lo scorrere del tempo: in passato la Corte Costituzionale è stata molto lenta nel decidere, e l'odierno conflitto, essendo proposto non dagli imputati ma dal governo Monti, non bloccherà lo scorrere della prescrizione, che su tutto passerà la spugna se non ci sarà verdetto definitivo entro marzo 2014.

Nel frattempo il generale Pollari perde il suo aplomb: «I governi Prodi, Berlusconi e Monti sono stati dunque i miei complici? E se lo sono stati, perché nessuno li interpella?». Pollari rimarca come il governo Monti abbia confermato il segreto di Stato «in modo ancora più esplicito che in precedenza.

È pazzesco: che razza di esercizio è condannare un innocente che tutti in Italia sanno essere innocente? Non voglio fare paragoni, ma ricordo che anche Tortora fu condannato a 10 anni». I suoi legali Titta e Nicola Madia, come i difensori di Mancini, Luigi Panella e Luca Lauri, lamentano che gli imputati «non abbiano potuto difendersi a causa del segreto di Stato», che a detta di Pollari «prova la mia innocenza, non la mia colpevolezza. Questo è un Paese di falsi moralisti: io - è la sua lettura - ho avuto il coraggio di non accettare di commettere un reato. E ho avuto questo premio».

 

 

NICOLO POLLARI marco mancini ABU OMAR berlusconi prodiBerlusconi ProdiMARIO MONTI CON LE MANI ALZATE jpeg