“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Sara Gandolfi per il “Corriere della Sera”
In Spagna si apre ufficialmente la crisi costituzionale fra Madrid e Barcellona. Gli undici giudici della Corte costituzionale hanno deciso ieri, all'unanimità, di accogliere il ricorso presentato dal governo di Mariano Rajoy e di sospendere in forma cautelare la mozione con la quale il «Parlament» catalano ha decretato, lunedì scorso, l'avvio del processo verso la secessione.
Entro cinque mesi emetteranno un verdetto di merito sulla questione. Come duellanti di una «roulette russa» in cui vince chi frena per ultimo, i poteri dello Stato spagnolo e quelli dell' auto-proclamato «Stato in fieri» di Catalogna accelerano dunque su due strade parallele che non sembrano più trovare alcun punto di raccordo.
La Corte - custode della Costituzione scritta dopo la fine della dittatura franchista - ha avvertito il presidente catalano Artur Mas e altri 20 dirigenti che «eventualmente» rischiano l' incriminazione in caso di «disobbedienza» (Mas in realtà è già incriminato per aver convocato un referendum non vincolante nel 2014).
«Si tratta di difendere un intero Paese», ha commentato soddisfatto il premier Rajoy, leader del Partito popolare. «Stanno rompendo con la democrazia. Io non lo permetterò». Immediata la replica da Barcellona: «Noi andiamo avanti». La mozione votata a maggioranza dal «Parlament» - e il relativo piano di secessione in 18 mesi - esclude peraltro esplicitamente la legittimità delle decisioni della Corte costituzionale.
La drammatica escalation difficilmente si fermerà prima del voto legislativo di dicembre in Spagna. La «questione catalana» ormai domina la campagna pre-elettorale, facendo ombra ai temi economici, come la disoccupazione o la difficile ripresa.
Paradossalmente, un dono insperato per il premier Rajoy, che ha saputo indossare i panni del «difensore dell' unità nazionale» e a raccogliere dietro di sé i partiti rivali, dallo storico Partito socialista al nuovo movimento di centrodestra Ciudadanos.
Soltanto il leader della sinistra di Podemos, Julio Iglesias, si è smarcato dalla posizione «unionista», pronunciandosi in favore di un «referendum immediato e politicamente vincolante» con cui i catalani possano decidere se staccarsi o meno dalla Spagna.
In Catalogna, regione che da sola produce un quinto del Pil spagnolo, traballa ma non si spezza lo strano fronte secessionista che a settembre ha ottenuto la maggioranza relativa in Parlament. Il conservatore Mas non è riuscito martedì a ottenere la rielezione al primo turno per il rifiuto di uno degli alleati di «Junts pel Sí», i radicali della Cup. Nella notte, si continuava a lavorare ad un compromesso per la seconda votazione, prevista oggi.
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