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COSE TURCHE - IL PARLAMENTO DI ANKARA DA' IL VIA LIBERA ALL'INVIO DI MILITARI IN LIBIA PER SOSTENERE AL SARRAJ NELLA GUERRA CONTRO HAFTAR (SOSTENUTO DA PUTIN) – ERDOGAN VUOLE IL CONTROLLO DELLA TRIPOLITANIA E METTE IN SERIA DIFFICOLTÀ L'ITALIA. PER FERMARE L'ESCALATION DEL TURCOMANNO, CONTE E DI MAIO CONFIDANO NEGLI USA E NELLA…

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Francesco Semprini per “la Stampa”

 

AL SARRAJ ERDOGAN

Il via libera del parlamento di Ankara all' invio di militari turchi in Libia per sostenere il Governo di accordo nazionale nella guerra contro Khalifa Haftar è destinato a incidere sui rapporti di forza e sugli sviluppi futuri del Paese. E lo farà con effetto immediato perché, al netto di un assai improbabile ritiro del generale dalla Tripolitania, Ankara provvederà a dispiegare già nelle prossime ore le sue forze, che andranno ad infoltire le fila delle prime avanguardie militari giunte nel Paese nordafricano nelle scorse settimane, assieme a combattenti della jihad siriana reclutati tra i reduci di origine turcomanna.

 

L' ingresso dell' armata del Sultano sullo scacchiere libico è destinato a «internazionalizzare» ulteriormente un conflitto che ha già assunto i connotati della guerra regionale e per procura, e che è caratterizzato da un avvicendamento di attori principali che oggi sono la Turchia da una parte e la Russia dall' altra.

 

AL SARRAJ ERDOGAN

Mosca, sebbene abbia sempre mantenuto rapporti con Tripoli, sul campo ha di fatto sostenuto l' uomo forte della Cirenaica, in ultimo con l' invio di mercenari di Wagner, la società di Yevgheni Prigozhin, fedelissimo di Vladimir Putin. Il loro arrivo ha cambiato gli equilibri sul campo dando maggiore incisività alle azioni di terra delle forze di Haftar che godevano già di una superiorità aerea rispetto a quelle di Sarraj grazie all' apporto dei caccia e dei droni emiratini, senza tuttavia dimostrarsi mai decisiva.

 

La Russia mira ad ampliare la propria area di influenza sulla sponda sud del Mediterraneo, il tutto nell' ambito di quella visione strategica con cui Vladimir Putin vuole far tornare il suo Paese ad essere una superpotenza e interlocutore privilegiato della regione allargata del Medio oriente e Africa settentrionale.

 

Schema simile a quello di Erdogan il cui intervento in Libia porterà a decisive mutazioni sul campo e cambi di equilibri, visto che notoriamente la Turchia quando entra in una partita difficilmente abbandona il gioco, specie perché animata da quella voglia di ritorno alla «grandezza ottomana» che la vede protagonista in Siria e Somalia. L' intervento turco sarà concentrato nelle zone occidentali del Paese ma con una attenzione verso la minoranza turcofona di Misurata funzionale a giustificarne l' interventismo a «protezione dei fratelli».

 

erdogan putin

Ma ancor più funzionale al progetto di creare una base di espansione dell'«islam politico» in Libia. Le dinamiche in atto mostrano che Mosca e Ankara potrebbero decidere a tavolino un «pareggio» per la spartizione del Paese, con la Cirenaica e il Fezzan gravitanti nell' orbita di Russia, Egitto, Emirati e Francia (sempre abile a smarcarsi e reinserirsi nei dossier di interesse, in questa caso per la Total verso i giacimenti nell' est). E la Tripolitania sotto l' egida di Ankara con Misurata punto di riferimento del nuovo assetto turcocentrico.

Elementi al riguardo potrebbero arrivare già l' 8 gennaio con l' incontro Erdogan-Putin e il ritiro di alcuni volontari di Wagner dai dintorni di Tripoli potrebbe essere un segnale verso questo nuovo «equilibrio di forza» nel cortile di casa dell' Italia, che paga il fatto di essere stata incapace di prendere una posizione forte.

 

2 - ROMA PUNTA SU USA E MISSIONE UE PER FERMARE L'ESCALATION DEI TURCHI

Ilario Lombardo Francesca Paci per “la Stampa”

 

KHALIFA HAFTAR

La fuga in avanti di Erdogan mette in seria difficoltà l' Italia che, di fatto, vede il suo posto scalzato dall' iniziativa turca. La partita apertasi ha infatti ripercussioni strategiche che vanno ben al di là dei confini di Tripoli.

 

Controllare la capitale libica significa innanzitutto avere in mano zone importanti per l' estrazione delle risorse del sottosuolo, quelle da cui dipende l' approvvigionamento energetico del nostro Paese e che al momento sono presidiate dalle milizie fedeli al presidente del Governo di Accordo Nazionale (Gna) Fayez al Sarraj. La prospettiva che passino di mano e finiscano ad Ankara non è delle più rassicuranti per l' Italia. C' è poi, non meno sensibile, la costa tripolina, la stessa da cui s' imbarcano i migranti diretti in Europa e che sollecita l' appetito di Erdogan, già in passato abilissimo nel negoziare con Bruxelles l' appalto dei confini orientali dell' UE in cambio di sei miliardi di euro.

 

LUIGI DI MAIO KHALIFA HAFTAR

Bisogna prendere la cartina geografica e tracciare una linea immaginaria dalla Libia fino al Bosforo per comprendere la portata del terremoto in corso, una fascia energetica unica dal Mediterraneo centrale a quello orientale che non a caso ha messo in allarme la Grecia, Cipro e l' Egitto, tra i primi ieri a condannare il via libero del Parlamento turco all' invio delle truppe in Libia. Il presidente al Sisi, grande sponsor di Haftar insieme a quella Russia con cui sta via via sostituendo i partner europei a cominciare dall' Italia, segue con allarme le mosse di Ankara che al Cairo significa soprattutto la minaccia dell' arci-nemica Fratellanza Musulmana. E c' è chi ipotizza che possa essere tentato dal ripensare la gestione Eni dei giacimenti di Zohr a favore dei francesi, sostenitori defilati di Haftar. «Per il momento c' è un accordo, Erdogan e Putin non incroceranno le spade in Libia, stanno creando il terreno per un accordo più ampio» osserva Asli Aydintasbas dell' European Council on Foreign Relations, lasciando intendere che questa sorta di spartizione della Libia sarebbe a tutto scapito dell' Europa, Italia in primis.

KHALIFA HAFTAR

 

E Roma? Pur nella preoccupazione trapela un cauto ottimismo. Nessuno nega che le ultime mosse di Ankara, con una Libia in cui si continua a sparare, tolgano il sonno. Così come nessuno, nel mondo della diplomazia che si muove tra Palazzo Chigi e la Farnesina, è indifferente al fatto che Erdogan abbia adesso di fronte a sé un pulsante rosso da premere a piacimento, un pulsante dalle conseguenze potenzialmente nefaste per noi, dalle commesse energetiche ai migranti.

 

Ma il premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio sono convinti che la mossa turca vada letta alla luce dei prossimi appuntamenti per capire se, al di là delle minacce, si arrivi davvero ai "boots on the ground". Se cioè, alla fine, la minaccia si risolva solo nell' esibizione di un' arma che Erdogan porterà al tavolo dove siederà con Putin l' 8 gennaio, al vertice di Sochi. Sono loro due i protagonisti reali di questa fase caotica della Libia, un Paese orfano dell' azione americana e vittima delle debolezze europee.

 

MACRON HAFTAR

È così che l' Italia non può che puntare le sue carte sulla missione dei ministri degli Esteri, prevista per martedì 7 gennaio, alla vigilia del colloquio tra Putin ed Erdogan. Proprio ieri alla Farnesina si stavano definendo gli ultimi dettagli: Di Maio, assieme ai colleghi, incontrerà prima il capo del Gna Al Serraj e poi il suo nemico giurato, il generale Khalifa Haftar, l' uomo forte della Cirenaica. Mentre dovrebbe arrivare a breve il nome dell' inviato speciale per la Libia: in pole position l' ex ministro Franco Frattini.

 

al serraj haftar giuseppe conte

«Se la missione va bene, Bruxelles tornerà a essere centrale e ci sono buone possibilità che si possano accompagnare le parti verso una tregua» spiegano fonti della Farnesina. Ci sono insomma «spiragli per una pacificazione almeno temporanea» in vista della conferenza di Berlino, nonostante le notizie dalla Turchia farebbero pensare a tutt' altro: ne parlano esplicitamente fonti vicine a Conte, anche alla luce dei colloqui di oltre un' ora del presidente del Consiglio con Putin, con Erdogan e con la cancelliera tedesca Merkel. Il premier non esclude l' ipotesi avanzata già durante la conferenza stampa di fine anno di una no-fly zone sopra Tripoli.

haftar serraj

 

Ma è soprattutto a Washington che si cercano le leve dell' ottimismo. Dall' amministrazione Usa sarebbe infatti arrivata la rassicurazione che non sarà permesso in alcun modo ai turchi - fino a prova contraria ancora alleati della Nato - di passare da un aiuto indiretto a Serraj a uno più diretto, militare, che esporrebbe l' Italia, i suoi interessi e i suoi confini, agli umori di Erdogan.

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