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Guido Ruotolo Marco Zatterin per “la Stampa”
I migranti in fuga dalla Serbia sfondano il muro umano della polizia croata e la Slovenia chiude la frontiera ungherese. La marea dei profughi in fuga mette a dura prova il patto di Schengen e la libera circolazione dei cittadini europei. Zagabria minaccia di mobilitare l’esercito e annuncia di non poter più ospitare nessuno, mentre l’Unione europea annuncia un nuovo vertice, stavolta a livello di leader, per mercoledì.
È il momento di battere un colpo per evitare altre sbandate. I disgraziati in cerca di un rifugio continueranno ad arrivare, anche se in Italia alla fine saranno meno del previsto. Serve una soluzione europea. Oppure non si farà che aggiungere dramma al dramma.
Confini mobili
La Slovenia ha reintrodotto i controlli alle frontiere, ha blindato il confine ungherese per ragioni di emergenze, con l’approvazione della Commissione Ue, e «per dieci giorni». È il terzo paese a gettare la spugna di Schengen, dopo Austria e Germania, ma in chiave italiana non è uno qualunque. I flussi dei migranti non si fermano coi recinti, dunque è immaginabile che la rotta possa cambiare e orientarsi su Trieste. La Croazia fatica a tenere.
Ieri a Tovarnik, un gruppi di migranti ha superato il cordone della polizia, dopo ore passate al sole e senza viveri. Gli agenti in assetto antisommossa hanno tentato di respingere le persone che premevano per entrare. Inutile. A migliaia continuano a passare verso l’Ungheria. Scene drammatiche. Secondo l’agenzia Hina, il presidente ha chiesto all'esercito di tenersi pronto e, in serata, il ministro dell'interno croato, Ranko Ostojic, ha detto che il Paese ha esaurito i margini di accoglienza e chiesto di fermare l’ingresso dei profughi, ne ha avuto 6 mila in poche ore. Se non governata, questa crisi migratoria compresa in ritardo il peggio. Anche la Bulgaria ha schierato l’esercito al confine turco.
La politica in azione
Arriva un altro vertice serale per i capi di stato e di governo dell’Unione. Sarà alle 18 di mercoledì, una cena informale. Frau Merkel lo ha voluto per dimostrare che l’Unione non dorme. Non si vuole parlare di redistribuzione dei 120 mila (approvata dall’Europarlamento, col «no» di conservatori, euroscettici e leghisti), questione che si spera venga risolta martedì dai ministri degli Interni, alla bisogna col ricorso alla maggioranza qualificata che metta in minoranza i renitenti alla solidarietà, cechi, ungheresi, slovacchi e romeni: scontato che il meccanismo non sarà obbligatorio come chiede la Commissione.
I leader parleranno di dimensione esterna, di sostegno ai paesi di prima accoglienza, come Turchia, Giordania e Libano. Risulta che sia stato chiesto al Team Juncker di predisporre un piano di assistenza specifico per la Grecia, ormai prima porta dell’Unione. Ma sarà la cronaca delle frontiere chiuse a riscrivere l’agenda del vertice sino all’ultima ora.
La strategia italiana
Da Roma, dal Viminale, si conferma che gli hotspot saranno operativi nel momento in cui dall’Europa partirà la richiesta di redistribuire un primo contingente di siriani. Sebbene nel documento giunto alla Commissione si parli esplicitamente di hotspot operativi, in realtà si aspetta che diventi operativa l'operazione «relocation».
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Intanto all’analisi dei dati sui flussi migratori arriva una prima significativa novità. Il numero di sbarchi è fortemente diminuito, quasi l’8% in meno rispetto all’anno scorso. Dal gennaio al 17 settembre (ieri) erano presenti sul nostro territorio 122.708 migranti. Nello stesso giorno del 2014 erano 133.247. Cioè 10.539 in più. Se si confermerà la tendenza, le previsioni dei 200 mila nel 2015 si riveleranno sbagliate. Ne arriveranno di meno, poco di più di 150.000. Con un elemento di riflessione aggiuntivo: il calo avvenuto in agosto, mese che per per le condizioni meteo è di massimo afflusso.
Da gennaio al 28 luglio, sono arrivati 89.157 migranti, contro gli 86.379 dell'anno scorso: 2.778 in più rispetto al 2014. In 45 giorni, il trend si è capovolto. Più di 13.000 sbarchi in meno. Le ragioni vanno cercate nella drammatica condizione libica e nell’apertura della rotta balcanica. Non è un caso che dalla Libia, quest’anno sono giunti 6.850 siriani contro i 32.156 eritrei.
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