DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
1. E ADESSO SULL’ISOLA TUTTI IN ATTESA DELL’«INVASIONE» DEI DETESTATI YANQUI
Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
playa paraiso beach, cayo largo, cuba
«Siamo venuti a vedere Cuba prima che diventi un’altra McDonald’s Republic». Te lo dicono in tanti: canadesi, tedeschi, italiani, quasi irritati dall’imminente normalizzazione Usa-Cuba che toglie all’isola della rivoluzione un po’ del suo sapore di frutto proibito. Altra musica per i cubani: la rivoluzione ha portato dignità e orgoglio, ma non benessere.
L’industrializzazione è fallita ed il castrismo, che aveva pressoché abolito il turismo e considerava sigari e rum poco più che vizi tollerati (l’alcolismo era controrivoluzionario, ma il rum piaceva molto ai dirigenti sovietici che svernavano sulle spiagge cubane, mentre le immagini di Fidel Castro e del Che con un Cohiba tra le labbra fanno comunque parte dell’iconografia del regime), da tempo ha cambiato rotta: ora è proprio il turismo la principale industria dell’isola. Un terzo viene dal Canada, un terzo da Russia ed Europa, il resto dall’America Latina.
Adesso tutti aspettano l’invasione dei tanto detestati Yanqui. Che sono già qui ma in piccolo numero. Il primo allentamento delle restrizioni deciso alla fine del 2014 autorizza 12 categorie di viaggio: per motivi culturali, giornalistici, per scambi commerciali, scienza, salute, programmi umanitari, progetti relativi all’istruzione e altro ancora. Ma non per il turismo che ricade sotto il bando deciso alcuni decenni fa dal congresso: misure che Obama non è in grado di sopprimere.
Ma con l’interpretazione un po’ elastica di queste categorie, chi lo desidera fortemente un modo per arrivare a Cuba lo trova. Una vacanza difficile per chi è abituato ai servizi di standard Americano del Costa Rica o di tante isole caraibiche che si trova all’improvviso di fronte la diffusa povertà, i vincoli dello statalismo comunista e il funzionamento a dir poco approssimativo dell’aeroporto dell’Avana. Ma anche un affascinante viaggio nel tempo per un occidentale arrivato dalla terra del wifi ubiquo, della gente che gira in strada con le cuffie e gli occhi fissi sull’iPhone: si torna a New York o Chicago orgogliosi per essere sopravvissuti alla crisi d’astinenza da giga byte.
E ci si porta dietro il ricordo di un luogo senza Internet e con pochissimi cellulari dove tutto è difficile, ma la gente guarda ancora in faccia e dialoga ovunque: per strada, nei parchi, alla fermata dell’autobus. Il frutto proibito continua ad essere tale. Negli Stati Uniti è tutt’ora vietato importare alcolici come l’Havana Club, così come tutti i sigari cubani. Che restano però un mito.
Si narra che nel 1961, John Kennedy, il giorno prima di decretare l’embargo che dura tutt’ora, mandò un suo emissario a Cuba a fare incetta di sigari. Il Congresso non ha alcuna intenzione di cancellare quell’embargo, ma con il gelo gli americani che rientrano dall’Avana potranno portare con sé prodotti cubani per un valore di 800 dollari. Per fumo ed alcool, però, non si possono superare i 100 dollari: un’apertura col contagocce che lascia il mito quasi intatto.
2. GLI YANKEE E IL “CORTILE DI CASA” SVOLTA DOPO DUE SECOLI DA PADRONI
Federico Rampini per “la Repubblica”
Barack Obama la definisce «una svolta nella storia delle Americhe». Dice: «Sono finiti i tempi in cui la nostra politica in questo emisfero supponeva che gli Stati Uniti potessero interferire con impunità». Raul Castro gli rende omaggio: «È un uomo onesto. Non è responsabile per le cose accadute prima del suo tempo». In questo scambio è racchiuso l’evento culmine di Panama: il primo incontro da più di 50 anni fra i presidenti di due Stati che la Guerra fredda aveva contrapposto. «Invece di isolare Cuba avevamo finito coll’isolare noi stessi», ammette con sincerità disarmante Ben Rhodes, consigliere strategico di Obama.
«Le cose» a cui allude Raul Castro, hanno segnato la memoria di intere generazioni, e non solo in America Latina. Il golpe del generale Pinochet che depose il presidente Salvador Allende in Cile nel 1973, con l’appoggio della Cia, rimane una tragedia che segnò l’immagine degli Stati Uniti. Mentre Richard Nixon arretrava in Vietnam, poteva spadroneggiare impunemente nel “cortile di casa sua”, l’America latina.
obama e raul castro si stringono la mano
L’assalto al Palazzo della Moneda di Santiago accese l’indignazione mondiale contro l’imperialismo yankee. In Italia ebbe perfino conseguenze interne: il segretario del Pci Enrico Berlinguer lanciò il suo “compromesso storico” partendo dall’analisi del golpe cileno: un’avvisaglia dei rischi che poteva correre chi si metteva contro gli Stati Uniti. Poi vennero le prepotenze di Ronald Reagan. L’invasione di Grenada nel 1983. Poi lo scandalo Iran-Contras, la fornitura di armi alle milizie di destra in Nicaragua, a partire dal 1985, nella guerriglia contro il governo sandinista.
Ma le radici storiche dell’ingerenza sono ben più antiche. “Cortile di casa”, per Washington l’America Latina lo diventa quasi due secoli fa. È nel 1823 che il presidente James Monroe comincia a definire quella che poi sarà chiamata la sua Dottrina. Nella prima formulazione è impregnata di ideali anti-colonialisti. In quegli anni diverse nazioni latino-americane stanno conquistando l’indipendenza. Gli Stati Uniti, ancora freschi della liberazione dal giogo britannico, vogliono impedire che il subcontinente diventi terreno di guerre tra imperi europei.
john kerry e il cubano bruno rodriguez
C’è il rischio che i territori perduti da spagnoli o portoghesi finiscano agli inglesi. Giù le mani dall’America Latina, dice Monroe agli europei: chiunque intervenga militarmente in quest’area, sarà come se aggredisca gli Stati Uniti. Sul finire dell’Ottocento, col crescere della potenza economica e degli appetiti commerciali degli Usa, la Dottrina Monroe viene “ampliata” fino a distorcerla. Dopo una campagna guerrafondaia dei giornali di Joseph Pulitzer e William Hearst, il presidente William McKinley nel 1898 si lancia nella guerra contro la Spagna; la vince, ma anziché garantire l’indipendenza di Cuba trasforma l’isola in un protettorato. Suo viceministro della Marina militare è Ted Roosevelt, che diventerà il primo “presidente imperiale” degli Stati Uniti. Sotto Ted Roosevelt l’interventismo nell’emisfero Sud e nei Caraibi diventerà quasi di routine.
Dopo i discorsi sulla riconciliazione ecco la prima azione tra obama raul castro e dilma rousseff
Nel primo Novecento si susseguono una decina di operazioni armate o vere e proprie guerre condotte da Amministrazioni Usa. Le Dottrine Monroe e Roosevelt saranno aggiornate e rafforzate nella logica della guerra fredda: fino a sfiorare il conflitto nucleare con l’Urss per l’invio di missili sovietici a Cuba (1962). Dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta del nostro secolo, per l’America Latina vale qualcosa di simile alla “sovranità limitata” che Mosca applica ai suoi satelliti nell’Europa dell’est (e all’Afghanistan). Gli americani hanno metodi più “soft”, raramente usano le proprie forze armate, più spesso appoggiano dittatori locali purché anti-comunisti.
La memoria di quei tempi è ancora viva a Sud del Rio Grande, impressa nelle biografie personali. Dilma Rousseff, presidente del Brasile, da giovane fu incarcerata e torturata sotto un regime militare che aveva all’origine il beneplacito Usa. Non a caso lo scandalo del Datagate con le rivelazioni di Edward Snowden ha suscitato le reazioni più accese proprio in Brasile, quando si seppe che la National Security Agency intercettava il telefonino della Rousseff. Né stupisce che l’intera associazione degli Stati latinoamericani abbia protestato compatta, quando il jet presidenziale di Evo Morales (Bolivia) nel luglio 2013 fu bloccato all’aeroporto di Vienna su richiesta degli americani che sospettavano ci fosse Snowden a bordo.
Le ferite accumulate in questi due secoli, l’incontro Obama-Castro sta cominciando a sanarle solo ora. La destra repubblicana accusa Obama di essere «il presidente che chiede sempre scusa», denuncia un segno di debolezza. In realtà furono i suoi predecessori ad alimentare il sentimento anti- yankee, che fu l’alibi per tanti dittatori di sinistra, rapaci o incapaci. Il contraltare delle ingerenze da Washington era questo: bastava essere anti-Usa per captare simpatie e solidarietà. L’America di Obama dopo aver voltato pagina può avere più influenza di prima. Il contesto l’aiuta: il Venezuela è stremato dalla crisi economica e anche il Brasile perde colpi.
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