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TRA I DUE LITIGANTI, PERDONO ENTRAMBI - DAVIGO DOVRÀ LASCIARE IL POSTO AL CSM TRA DUE SETTIMANE, LO HA STABILITO L'AVVOCATURA DELLO STATO NEL PARERE RICHIESTO PROPRIO DALL'ORGANO DEI MAGISTRATI - INVECE LA COMMISSIONE DISCIPLINARE HA CHIESTO LA RADIAZIONE DALLA MAGISTRATURA PER PALAMARA, LA SANZIONE PIÙ GRAVE CHE PUÒ COMMINARE. COSÌ LE MAGAGNE DELLE TOGHE TORNANO SOTTO IL TAPPETO
Giuseppe Salvaggiulo per “la Stampa”
Piercamillo Davigo deve lasciare il Consiglio superiore della magistratura, a metà del mandato, perché un pensionato non può rappresentare gli ex colleghi. Lo sostiene l'Avvocatura dello Stato, in un parere richiesto dal Csm. Davigo andrà in pensione il 20 ottobre, a 70 anni. All'inizio di settembre egli stesso ha posto con una lettera alla commissione titoli del Csm la questione, che non conosce precedenti: la possibilità di rimanere in carica da pensionato, essendo stato eletto nella quota riservata ai magistrati in servizio.
Davigo sostiene di averne diritto con due argomentazioni, una giuridica e una politica. La prima: il pensionamento non è espressamente previsto dalla legge tra le cause di decadenza dei membri del Csm, e in materia elettorale vige la tassatività dei requisiti di chi accede alle cariche pubbliche. La seconda: un'estromissione con voto a maggioranza del plenum introdurrebbe un pericoloso precedente, comportando la precarietà (se non la condizionabilità) di una posizione costituzionalmente rilevante.
La commissione titoli, che deve istruire la pratica e riferire al plenum per il voto finale, ha preso tempo. Dopo aver scartabellato invano vecchi pareri, ha deciso di rivolgersi all'Avvocatura dello Stato, che assiste e difende le amministrazioni pubbliche (e il Csm, nei ricorsi dei magistrati al Tar contro nomine e trasferimenti).
mario suriano, marco mancinetti, piercamillo davigo
L'iniziativa ha suscitato la prima tensione. A volerla Loredana Micciché e Paola Braggion (entrambe di Magistratura Indipendente, corrente da cui Davigo uscì nel 2015 in polemica con Cosimo Ferri), mentre Alberto Benedetti, membro laico indicato dal M5S, ha votato contro. Schermaglie che preludono a quel che accadrà la prossima settimana, quando i tre componenti della commissione titoli dovranno redigere una relazione (o due, in caso di spaccatura) su cui il plenum si pronuncerà. A quel punto il parere dell'Avvocatura, pur non vincolante, sarà squadernato.
Tre pagine per sostenere che l'assenza di una specifica norma per il caso Davigo dipende dal fatto che la sua decadenza è «scontata», sulla scorta di una lettura sistematica del ruolo del Csm nell'assetto costituzionale e della rigida ripartizione dei suoi membri tra togati (in servizio) e laici eletti dal Parlamento, che sarebbe alterata dal «seggio del pensionato». In tal senso valorizza una sentenza del Consiglio di Stato del 2011.
luca palamara a passeggio con cosimo ferri
Una «lettura formalistica e insufficiente» delle cause di decadenza, rifiutando il principio secondo cui «l'appartenenza all'ordine giudiziario costituisce condizione sempre essenziale e imprescindibile» per la permanenza nel Csm e non solo «per il mero accesso», pervertirebbe il senso «dell'autogoverno». Il plenum se ne occuperà mercoledì. Sarà battaglia. Anche perché nel frattempo Davigo presenta un altro conto al Csm per una mancata nomina in Cassazione nel 2018. Il Consiglio di Stato gli ha dato ragione, chiede un risarcimento sia economico che di carriera.
2. PALAMARA, CHIESTA LA RADIAZIONE DALLA MAGISTRATURA
Giovanni Bianconi per www.corriere.it
«Chiediamo la sanzione massima, cioè la radiazione dall’ordine giudiziario». Si conclude così la requisitoria della Procura generale della Cassazione nel processo disciplinare a Luca Palamara, davanti al «tribunale» del Consiglio superiore della magistratura. «Non si chiede un giudizio etico», precisa il vice-procuratore generale Pietro Gaeta, «ma una valutazione della particolare gravità dei fatti. L’incolpato ha tentato di condizionare la nomina al vertice del più grande e più importante ufficio giudiziari italiano, la Procura di Roma, per interessi personali, e in più voleva condizionare la nomina del procuratore di Perugia per ottenerne uno che potesse garantire interventi di vario genere nei confronti dei magistrati romani».
Il vertice all’hotel Champagne
Non solo; a Palamara si contesta anche un’opera di «denigrazione e delegittimazione sistematica, attivata su più fronti» verso alcuni colleghi. La vicenda per cui l’accusa ha chiesto l’espulsione dalla magistratura dell’ex componente del Csm ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati è quella dell’ormai famosa riunione all’hotel Champagne di Roma, la sera del 9 maggio 2019, tra cinque consiglieri allora in carica del Csm, lo stesso Palamara e i deputati Cosimo Ferri (magistrato anche lui) e Luca Lotti (imputato nel processo Consip proprio su iniziativa della Procura di Roma). In quella riunione, secondo il vice-procuratore Gaeta e il sostituto procuratore generale Simone Perelli, Palamara non ha agito secondo il solito sistema di spartizione delle nomine tra le correnti dei magistrati, ma ha organizzato in qualità di sceneggiatore, organizzatore e regista una per pilotare la nomina del procuratore di Roma in base a «interessi diversi e convergenti, condizionando il corretto funzionamento e la fisiologica interlocuzione istituzionale. C’è stata un’indebita manipolazione dei meccanismi istituzionali, in forma occulta e con soggetti esterni al Csm aventi un diretto interesse particolare alle nomine».
Il verdetto in serata
Interessi dello stesso Palamara, che dopo la scelta del procuratore indicato da lui e gli altri partecipanti alla riunione, aspirava ad essere nominato procuratore aggiunto sulla base dello stesso disegno e delle stesse alleanze; di Ferri, che dall’esterno voleva essere e apparire il «king maker» di una delle decisioni più rilevanti che il Csm era chiamato a prendere, e di Lotti, i qualità di imputato in un processo che la stessa procura avrebbe dovuto portare avanti dopo la richiesta di rinvio a giudizio. «Qui non siamo alla spartizione delle nomine tra gruppi correntizi», ha detto il sostituto pg Perelli, «ma al sovvertimento delle regole dello Stato di diritto.
Altro che porto delle nebbie, siamo al porto delle tenebre!». Nel pomeriggio parlerà la difesa di Palamara, ed è possibile che il magistrato incolpato – dopo aver scelto di non rispondere alle domande del procuratore generale basate sulle intercettazioni dei dialoghi intercettati nella riunione del 9 maggio – faccia delle dichiarazioni spontanee a propria discolpa. Poi la sentenza, che a questo punto dovrebbe arrivare in serata.
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