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Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
Il successo alle Europee non cancella le faide interne al Partito democratico. Sulle nomine, in particolare, la vecchia guardia democrat non vuole essere rottamata e prova ad arginare lo strapotere dei cosiddetti «renziani». Il duello ruota tutto intorno al ministero dell’Economia e alla agenzie fiscali (Entrate e Demanio).La partita più delicata sembra quella sulla Ragioneria dello Stato dove, secondo voci di palazzo, è in corso un braccio di ferro tra il premier, Matteo Renzi, e l’eterno nemico Massimo D’Alema.
PADOAN FIDUCIA AL GOVERNO RENZI IN SENATO FOTO LAPRESSE
Con quest’ultimo che vorrebbe piazzare una persona di sua fiducia al vertice del Dipartimento chiave di via Venti Settembre, quello che decide la sorte di tutti i provvedimenti economici del governo con la «bollinatura». D’Alema ha provato a infilarsi appena ha saputo che Renzi vorrebbe mandare a casa l’attuale numero uno, Daniele Franco (ex Banca d’Italia, nominato da Fabrizio Saccomanni) per cercare di promuovere il vice della Ragioneria, Alessandra Dal Verme, cognata dell’esponente Pd di rito «renziano», Paolo Gentiloni.
L’ex premier sta caldeggiano al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, cui spetta l’eventuale decisione, Biagio Mazzotta, oggi ispettore capo della stessa Ragioneria e suo compagno di vacanze a Gallipoli in Puglia. Un assalto, quello dell’ex presidente del Consiglio, a cui Renzi potrebbe rispondere con un piano «B»: lasciare al suo posto Franco (che ha bollinato le incerte coperture sugli «80 euro » e si è messo in tasca una «cambiale» a garanzia del suo incarico) portando, però, la Ragioneria sotto il controllo di Palazzo Chigi.
Una soluzione, dicono i ben informati, che consentirebbe di ridimensionare sia i «dalemianpugliesi » - che a via Venti Settembre contano pure sul Capo di gabinetto, Roberto Garofoli - sia i «lettiani» (quelli di Enrico Letta) che hanno nel Capo della segreteria tecnica, Fabrizio Pagani, il massimo esponente della corrente.
Due delle tante pedine ritenute estranee al gotha di Renzi, piazzate a febbraio nei posti chiave del più importante dicastero dalla vecchia guardia democrat che approfittò in qualche modo del fatto che il neo premier non aveva dimestichezza coi palazzi romani. Ragion per cui, adesso, vuole andarci piano. Ecco perché tardano ad arrivare le delibere sia sull’agenzia delle Entrate sia sull’agenzia del Demanio.
attilio-befera-con la moglie annarita pelliccion
Per quanto riguarda le Entrate, va sostituito Attilio Befera, ma la promozione di Marco Di Capua, ora vicario, sembra meno scontata del previsto. Su Di Capua, come riferito ieri dal Fatto Quotidiano, sarebbero emersi legami con l’ex ministro Giulio Tremonti e a palazzo Chigi stanno approfondendo la questione.
Quanto al Demanio, invece, è scaduto da alcune settimane il mandato dell’attuale direttore, Stefano Scalera. Il quale starebbe cercando in tutti i modi di trovare sponda nel sindaco di Torino, Piero Fassino, per restare seduto sulla sua poltrona e ottenere da Renzi il «bis». Fassino, però, non avrebbe ancora sciolto la riserva.
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