DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
GOLPE DI FULMINE – PER GOFFREDO BETTINI GIUSEPPE CONTE È STATO VITTIMA DI UN COMPLOTTO! LO SCRIVE IL “CORPACCIONE DEM” A PAGINA 10 DEL MANIFESTO DI "AGORÀ", LA CORRENTE DE' SINISTRA DEL PD CHE LANCERÀ DOMANI: BETTINI SOSTIENE CHE L’AMATO “GIUSEPPI” NON HA “ASSECONDATO” I POTERI FORTI E PER QUESTO È STATO PUNITO. COME BERLUSCONI NEL 2011. CHE NE PENSA ENRICO LETTA?
GOFFREDO BETTINI GIUSEPPE CONTE
DAGONEWS
Quanto può essere indispettito Mario Draghi per la teoria di Goffredo Bettini secondo cui Conte è stato fatto fuori da un complotto dei "poteri forti"? Molto, moltissimo. Anzi, di più. Gli fumano i cabasisi. Lo stesso Enrico Letta, che di un certo euro-potere è parte, si è indispettito. Il segretario del Pd ha incontrato Bettini prima che quest'ultimo licenziasse il documento di lancio della sua corrente "Agorà" e ha esplicitato le sue perplessità: "Goffredo, è una cazzata". Il fu guru di Zingaretti non ha incassato il colpo ma ha rintuzzato, con le sue argomentazioni: Draghi è amico della nuova amministrazione americana e vicino alla Merkel, Conte invece era mal sopportato, aveva contro i poteri forti e altre lucidissime spiegazioni.
ENRICO LETTA PARLA DI DRAGHI A PORTA A PORTA
Il distillato delle sue affermazioni (anche vere) porta a una inevitabile conclusione: non si trattò di complotto ma di politica. Quella con cui si aggiustano e si scombinano carriere, governi, alleanze. Ovunque, da sempre. E poi Bettini omette sempre di citare le sconclusionate azioni politiche lasciate in dono all'Italia, dai banchi a rotelle alle mascherine farlocche, da Peppiniello Conte e i suoi "fardelli" (Arcuri, Azzolina e pippe assortite).
1 - «COMPLOTTI SU CONTE? NO, VIA PER INCAPACITÀ»
Il leader di Italia viva Matteo Renzi bastona ancora l' ex premier Giuseppe Conte e coloro i quali hanno cercato di salvarlo: «In casa Pd, autorevoli ex guru iniziano a sostenere che il governo Conte sia caduto per un (immancabile) complotto internazionale - scrive l' ex presidente del Consiglio - . Quindi non era colpa di un uomo solo, folle, di nome Matteo Renzi, come ci hanno raccontato per giorni a reti unificate. Dicono, dunque, ci sia stato un complotto internazionale. E sembrano persino crederci. Ho scoperto in questi anni che molti chiamano complotto internazionale semplicemente la propria incapacità di fare politica»
2 - ORA ANCHE NEL PD SI EVOCANO I POTERI FORTI OGNI GOVERNO FINITO HA LE SUE «MANINE»
Tommaso Labate per il "Corriere della Sera"
«Questa storia del complotto non esiste» ma «al di là di Renzi c' è qualcosa di più grande che si è mosso». Venti e ventitré, l' ora del pronto in tavola per la cena degli italiani, l' ora in cui Goffredo Bettini mette un punto alla polemica sulla convergenza di interessi «nazionali e internazionali» che, a leggere la piattaforma politica della sua nuova area battezzata ieri, sarebbe stata l' elemento decisivo per disarcionare il governo Conte II e lasciare campo libero all' arrivo di Mario Draghi.
Il punto, però, si rivelerà un punto e virgola o al massimo due punti, come nella lettera di Totò e Peppino alla Malafemmena. Perché Bettini, tolta dai radar la parola «complotto», non presente a onor del vero nel documento programmatico della sua Agorà, rilancia: «C' è stato un bombardamento contro il governo Conte che andava ben al di là dei suoi demeriti, che comunque c' erano».
E ancora: «Si muovevano degli interessi», a cui probabilmente la direzione di marcia impressa dall' Avvocato al suo esecutivo non piaceva affatto. «Troppa spesa sociale e pochi investimenti sul digitale? Troppo Mezzogiorno e poco Nord? Oppure Conte aveva un taglio di capelli che forse dava fastidio ai barbieri?», conclude l' ideologo di questa nuova zona franca tra Pd e M5S che lavora per saldare i bulloni dell' alleanza del futuro.
E quindi il momento è arrivato, a due mesi di distanza dal cambio della guardia a Palazzo Chigi. Come in ogni caduta parlamentare che si rispetti, come ogni «ribaltone» che cambia il senso di marcia di un governo e in molti casi anche il conducente, anche il Conte II ha avuto la sua coda differita di veleni.
Veleni nazionali - con il solito codazzo di «mani», «manine», «manone» e immancabili «poteri forti» - avevano scandito il ritmo del dibattito sulle cadute del Berlusconi I nel dicembre del 1994 e del Prodi II nel gennaio del 2008, col Cavaliere ora nella parte della vittima ora in quella del carnefice; e poi veleni internazionali, che iniziarono a invadere l' aria nostrana quando la coda lunga delle risatine congiunte di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy dell' ottobre 2011 fu il battito d' ali di un' aquila - la farfalla della teoria del caos era troppo piccola per reggere il paragone - che qualche giorno dopo provocò l' uragano in Italia. E fu governo Monti. Nessuno, e men che meno Bettini, si spinge fino a mettere nero su bianco uno sceneggiatura degna di un romanzo di John le Carré. Ma il tema divide, e tanto, le anime del Pd.
Negata dal sancta santorum del Nazareno guidato da Enrico Letta così come dalla viva voce di Matteo Renzi - se complotto c' è stato, l' artefice sarebbe riuscito nel miracolo di mettere dalla stessa parte i due arci-nemici - la questione rimane. «Non credo ci sia stato un complotto, ma c' è stata sicuramente una ostilità diffusa delle élite di questo Paese, che vedono il populismo come un fatto accidentale e non come il frutto della de-responsabilizzazione progressiva delle classe dirigenti», mette a verbale il ministro del Lavoro Andrea Orlando.
«Polemizzare sul complotto è miope. Ma non si può non registrare che c' è stata una evidente convergenza di interessi nel far cadere Conte», scandisce Enrico Gasbarra. Nelle retrovie del contismo ortodosso si osserva la vecchia regola di Berlusconi e anche di Prodi, cioè dei presidenti del Consiglio a cui una fiducia è stata tolta come la spina da una presa. Si tace, si lascia sedimentare e, semmai, si prende la parola a distanza di tempo, per riaprire la questione o chiuderla del tutto.
Nelle vicinanze dell' Avvocato, che continua a lavorare sul progetto del M5S rifondato a sua guida, c' è chi ha conservato una specie diario di quei mesi di agonia istituzionale che poi sfociarono nella crisi politica. La ricostruzione parte da un faccia a faccia con Matteo Renzi, l' unico appuntamento a novembre in cui i due sembrarono poter diventare amici. Il premier evocò al leader di Italia Viva l' ipotesi di andare alla Nato e l' altro gli rispose: «Guarda, Giuseppe, non decidiamo né io né te chi andrà alla Nato. Tra qualche giorno, quella decisione la prenderà un signore che si chiama Joe Biden». Erano i giorni in cui la statua del «Giuseppi» iniziava a scricchiolare. Così come la leadership del suo indimenticato ideatore, Donald Trump.
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