DAGOREPORT – VINCENZO DE LUCA NON FA AMMUINA: IL GOVERNATORE DELLA CAMPANIA VA AVANTI NELLA SUA…
Carlo Panella per “Libero Quotidiano”
I miliziani dell' Isis continuano ad avanzare armi in pugno verso il centro di Damasco su due direttrici, da ovest, dove si sono impadronite della città di Zabadani e soprattutto da sud, nel quartiere di Al Qaddam che ormai controllano per la quasi totalità. La loro penetrazione nel tessuto urbano della capitale è tale che si trovano ormai a soli 8 chilometri dalla moschea degli Omayyadi cuore storico della città che conta 1.500.000 abitanti e che ha una grande estensione territoriale perché è composta in gran parte di edifici di due, tre piani.
Ma soprattutto, le milizie califfali distano ormai solo 45 minuti a piedi dal palazzo presidenziale di Assad, nel quartiere di Dummar. Contro di loro, combattono, per ora, non già le milizie del regime di Assad, ma le milizie islamiste del Fronte islamico, che raggruppa sette gruppi salafiti, collegati all' Arabia Saudita, che sinora hanno controllato Al Qaddam, ma che non sono mai riusciti a penetrare verso il centro città. Conquistato Al Qaddam, e sbaragliata la "concorrenza" dei gruppi ribelli che non ne riconoscono il comando, è prevedibile che le milizie califfali inizino l' avanzata verso il centro città.
È dunque iniziata la "battaglia di Damasco" che si prefigura terribile e che, non a caso è accompagnata da un "a fondo" dell' Isis nella regione nord occidentale della Siria dove abitano e sono arroccati gli alauiti, i membri della setta misterica di alveo sciita di cui Beshar al Assad è il dominus politico-religioso assoluto e che costituiscono il nucleo fondante del suo regime (assieme ai sunniti agiati e - purtroppo - anche a molti cristiani, incluse - ahimé - alcune gerarchie episcopali delle 7 chiese cristiane siriane).
Ieri, infatti, è esplosa un' autobomba nella piazza Hamam di Latakia (capitale morale degli alauiti) uccidendo dieci civili e ferendone una cinquantina. Latakia, peraltro, è parzialmente circondata sulle sue alture da miliziani dell' Isis che hanno evidentemente deciso di non limitarsi all' abituale lancio di razzi e missili sull' abitato, ma hanno deciso di attaccare il cuore della città.
Si accelera così la corsa contro il tempo della diplomazia per tentare di governare quello che ormai appare sempre più ingovernabile: il processo di transizione dal regime baathista a un nuovo governo. I Paesi arabi (in primis l' Arabia Saudita) e la Turchia alternano la pressione militare attraverso il finanziamento e il supporto a milizie ribelli loro fedeli (ma minoritarie sul terreno rispetto all' Isis), con pressioni diplomatiche.
Offrono consistenti compensazioni economiche ai gerarchi del regime di Assad per convincerli a "tradire" e trattano attraverso canali sotterranei con il Cremlino, grande e indispensabile sponsor del raìs di Damasco, per concordare una sua uscita di scena bilanciata, che magari preveda un arroccamento suo e dei suoi miliziani nella regione alauita.
Kerry e Assad a cena insieme a Damasco nel Afp kerry resize
Mosca, negli ultimi giorni, per bocca del ministro degli Esteri Serghjei Lavrov, dà conto di questa trattativa e mostra una blanda disponibilità a cessare la sua difesa intransigente di Assad. Non così Teheran, però, che ha garantito con le sue migliaia di Pasdaran e con gli Hezbollah libanesi (che riconoscono il comando politico dell' ayatollah Khamenei) e che ancora ieri ha ribadito che «Assad non si tocca».
Demenziale, al solito, nel silenzio incredibile di Barack Obama che continua a considerare quella siriana una "crisi regionale", la posizione dell' Onu che per bocca di Steffan de Mistura, inviato speciale di Ban Ki Moon per la Siria, dopo avere platealmente fallito un anno di sforzi per siglare una tregua su Damasco e Homs, ora propone una terza Conferenza di Ginevra. Appuntamento che verrà anticipato - se mai qualcuno avrà la folle idea di organizzarlo - dal responso dello scontro armato sul terreno.
Agli atti, dopo la presa della strategica Palmira della scorsa primavera, c'è il risultato nullo dei bombardamenti americani e dell' operazione di killeraggio dei leader dell' Isis ad opera dei droni tanto cari a Obama, incredibilmente convinto di contrastare dei banditi, non un' insorgenza jihadista travolgente.
Dalla primavera a oggi la pressione militare dell' Isis in Siria infatti è sensibilmente aumentata e la stessa sconfitta subita a Kobane è stata ridimensionata quanto a effetti reali. Partita aperta a Damasco, quindi, con l' Isis in vantaggio di iniziativa.
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